caso Fallimento GIANONCELLI |
I tacchini e i nostri 25 lettori
Francamente,
avvertiamo come eccessiva tutta l'attenzione che ci viene rivolta.
Prima è l'intera Giunta di Traona a querelarci per aver
riportato, nelle nostre cronache civili, che in paese si arrivava a
definire "mafiosi" determinati atteggiamenti ('l
Gazetin, gennaio 2000).
L'opinione, si badi bene, non era espressa o sostenuta dal giornale,
tant'è che nello stesso strillo di copertina («TRAONA le
mani della "mafia" sulla Bolgia?») veniva usata la
formula dubitativa, ma veniva riportata come nudo e crudo elemento di
cronaca, così come è d'uso sui giornali dar conto dei
più svariati commenti che i fatti provocano. Il termine, che
avrebbe offeso sindaco e assessori tanto da indurli ad avviare
un'azione legale nei confronti del giornale, non denomina soltanto un
particolare tipo di associazione dedita alla criminalità, ma
viene, nel linguaggio comune e come è avvenuto anche nel
nostro caso, usato per sintetizzare una serie di atteggiamenti e
comportamenti che, nelle più svariate circostanze, individuano
una "cerchia di amici" che riceve un trattamento
"particolare", differenziato rispetto alla generalità
dei componenti un determinato gruppo sociale (in tale estensiva
accezione lo si usa addirittura nelle famiglie, sul lavoro, nei
paesi, appunto, ecc.).
Ora anche il curatore di un fallimento cita
in giudizio il giornale (il suo direttore e la cooperativa editrice)
insieme a Vanna Mottarelli, inopinatamente individuata quale autrice
delle cronache incriminate, per risarcimento danni recati al suo
onore e alla sua reputazione in merito alla vicenda nota come "caso
Gianoncelli", denunciata e seguita nei suoi sviluppi dal
Comitato territoriale Insieme per la giustizia e poi da
organismi politici quali l'Osservatorio europeo sulla legalità
e il movimento Italia dei valori. Il pubblico ufficiale
dott. Marco Cottica ritiene che il giornale, esorbitando dal diritto
di cronaca, abbia compiuto un'azione diffamatoria nei suoi
confronti.
I due episodi, indubbiamente diversi e di cui
riferiremo il loro evolversi nelle sedi idonee, descrivono la
particolarità (non si capisce ad esempio, nel secondo caso,
l'esclusività dell'azione nei nostri confronti quando i
medesimi fatti, talvolta con le medesime parole ed espressioni, sono
stati riferiti anche dalla restante stampa locale, che al più
si è "meritata", contrariamente a noi, qualche
richiesta di rettifica) delle "attenzioni" di cui siamo
fatti oggetto. Attenzione certamente sproposita, anche per i toni e
le forme adottate, rispetto al ruolo che oggettivamente gioca la
nostra testata, con i suoi venticinque lettori. La cosa, da un
certo punto di vista, ci onora, e non perché si condivida
l'adagio "tanti nemici, tanto onore". Che almeno portasse,
assieme ai fastidi dei quali avremmo fatto volentieri a meno (dovendo
già faticare non poco per il modesto risultato che riusciamo
ad ottenere), quel sostegno e quel seguito, quella rilevanza che i
querelanti ci attribuiscono!
Per l'occasione, può risultare
utile una citazione da Alberto Bertuzzi (in Dubitare - disobbedire
- combattere, ed. gei-Rizzoli, Milano 19852, pagg.
392, L. 16.500), a suo tempo segnalataci da Tirano dall'amico
Bernardo Gabriele Ferrari, che già abbiamo utilizzato in una
analoga circostanza (cfr. 'l
Gazetin, settembre 1997):
«Il
tacchino è un animale pavido, che nasconde la sua pavidità
mostrandosi aggressivo e tracotante, ma solo gonfiandosi d'aria,
sollevando le penne, facendo la ruota e arrossando, fino a farle
erigere, le caruncole e le escrescenze del capo e del collo. In
sostanza dando di sé un'immagine, a chi non lo teme,
pietosamente farsesca. I tacchini sono quei personaggi che non
tollerano critiche ai loro tacchineschi comportamenti. Sono gli
uomini dalla querela facile: ritenendosi degli intoccabili non sanno
difendersi dalle critiche. Così delegano questo compito alla
Giustizia senza sapere che le eventuali condanne esercitano un
effetto contrario: alimentano l'aggressività del querelato nel
diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero (art. 21
Costituzione) usando forme ed espressioni anche severe (Sentenza n.
20/1974 della Corte Costituzionale)».
Es
(da 'l Gazetin, LUGLIO 2001)
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