caso Fallimento GIANONCELLI



CASO GIANONCELLI”. IL CURATORE CITA IN GIUDIZIO IL NOSTRO GIORNALE
Può mai offendere qualcuno, la verità?

Giovanni 20,23. «Io ho parlato apertamente al mondo. E di nascosto non ho mai detto nulla. Perché mi interroghi? Interroga coloro che mi hanno ascoltato, che cosa ho detto loro. Non appena Gesù ebbe detto ciò una delle guardie, che stava là, diede uno schiaffo a Gesù, dicendogli: "Così rispondi al sommo sacerdote?" Gli rispose Gesù: "Se ho parlato male, dimostra dov'è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?"»

di VANNA MOTTARELLI



La cronaca
Il direttore de 'l Gazetin (Enea Sansi), l'editore (LaboS Scrl) e Vanna Mottarelli hanno ricevuto dal dottor Marco Cottica, curatore del fallimento Gianoncelli, atto di citazione avanti il Tribunale di Sondrio per gli articoli apparsi sui numeri di settembre, ottobre, novembre, dicembre 2000, gennaio e aprile 2001 de 'l Gazetin, che narravano le drammatiche vicende dei fratelli Franco e Peppino Gianoncelli, della loro madre Lina Moretti e di Patrizia, figlia di Franco. Gli scritti, secondo l'atto di citazione sarebbero stati palesemente e pesantemente offensivi della sua reputazione.



Lettera aperta al curatore, dottor Marco Cottica
Non esiste reato di diffamazione nei confronti di un pubblico ufficiale, quale è il curatore di un fallimento, se chi ha esposto i fatti è in grado di provare la verità (art. 596 C.P., 3° comma: «Quando l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la prova della verità del fatto è però sempre ammessa nel procedimento penale: 1) se la persona offesa è un pubblico ufficiale ed il fatto ad esso attribuito si riferisce all'esercizio delle sue funzioni»). È recentissima la sentenza con la quale la Cassazione afferma che Marco Travaglio, querelato dal giudice Carnevale per quanto riportato al suo indirizzo sul libro Il manuale del perfetto impunito non ha commesso reato di diffamazione, in quanto il giornalista si è limitato a riportare fedelmente i fatti. Siamo in grado di provare che tutto quanto è stato scritto a proposito della famiglia Gianoncelli è conforme al vero e, ci può giurare, dottor Cottica, che lo proveremo.
I fatti si commentano da soli. L'opinione pubblica potrebbe essere divisa tra coloro che condividono il Suo operato e coloro che non lo condividono. Noi apparteniamo alla seconda categoria. I creditori appartengono alla seconda categoria. Gli associati che noi rappresentiamo appartengono alla seconda categoria. E con questo? Nessuno ha offeso la Sua onorabilità, né ha tirato in ballo la Sua attività professionale (se invece di essere un libero professionista fosse stato uno scultore di grido avrebbe forse venduto meno sculture perché da curatore si è comportato in un determinato modo?).
Ma veniamo alle singole contestazioni. Lei, dottor Cottica, si sente offeso perché abbiamo ritenuto il "Caso" dei fratelli Gianoncelli degno di segnalazione alla Corte europea per i diritti dell'uomo e alle istituzioni pubbliche che, direttamente o indirettamente si occupano di giustizia. Ebbene? Non è forse questo un sacrosanto diritto sancito dalla Costituzione e dalla Carta europea per i diritti dell'uomo? Spetterà alle istituzioni interpellate decidere se le segnalazioni siano o meno degne di attenzione. Il titolo (per la verità un occhiello, in termine tecnico - Ndr) «Fallimentopoli», a dire del suo legale, evoca in "ognuno" il ricordo di tangentopoli!? E quando mai? A me, ad esempio, fan pensare a tutt'altra cosa (fame, miseria, disperazione, disoccupazione). Andando di questo passo dovremmo forse proibire ai bambini di nominare Paperopoli? o suggerire alle agenzie turistiche di eliminare gli itinerari per Costantinopoli e le visite all'Acropoli? Il titolo dice «Oh, che bell'affare!»? Embé? È un classico (a scanso di equivoci: in tutta Italia e da sempre) che chi ha messo gli occhi su immobili che vengono venduti alle aste dei fallimenti aspetta che i prezzi vengano ribassati, ribassati e ancora ribassati. Non è forse questo un bell'affare per chi acquista? E i ribassi non riducono forse a poche briciole le somme da ripartire tra i creditori? (i dati statistici dei vari fallimenti la dicono lunga a proposito). Non si è accorto, dott. Cottica, leggendo il testo dell'articolo, che il titolo «I piatti pendenti della bilancia del Tribunale di Sondrio» si riferisce alla statua sulla prima rampa di scale dell'ex Tribunale di Sondrio? (vedere per credere). Senza contare il fatto che il curatore non è la personificazione del Tribunale di Sondrio.
Nell'articolo de 'l Gazetin del mese di ottobre, che nel complesso non La riguarda affatto, viene citato esclusivamente quale fervido difensore di Bruno Gianoncelli. Non è forse vero? Si è mai posto il problema dell'invalidità del recesso? Ha fatto qualche cosa per estendere il fallimento anche al terzo socio? Nella sua relazione depositata in cancelleria il 7 giugno 1999 non ha forse affermato: «il sottoscritto non ha ancora iniziato la vendita dei beni immobili di proprietà dei suddetti, poiché attende l'esito dell'opposizione alla sentenza di fallimento promossa da Gianoncelli Bruno (???) ed è quindi opportuno attendere l'esito della causa di opposizione o per vendere l'intero, oppure, nel caso in cui il fallimento di Gianoncelli Bruno fosse revocato, per vendere i soli 2/3»? Si dà il caso che anche Franco e Peppino abbiano presentato opposizione al fallimento. Perché, per loro, Lei non ritiene opportuno attendere l'esito dell'opposizione? Il curatore non deve forse avere un ruolo neutrale nei confronti di tutti i falliti? Come può offendersi, signor curatore, se nel titolo dell'articolo si afferma «un lampo di genio (dichiarazione non notificata agli interessati con semplice autentica di firma) e un socio di una società di persone è bello che sollevato dalle obbligazioni sociali»? La responsabilità solidale e illimitata dei soci della società di persone esiste, a prescindere che vengano, o meno, dichiarati falliti. Il socio, ancorché receduto deve ripianare tutti i debiti sorti fino alla data del recesso (lo stato passivo di Bruno Gianoncelli, ad esempio, porta debiti per oltre un miliardo e duecento milioni). Che iniziative ha intrapreso per recuperare dal socio Bruno (prima che venisse dichiarato fallito) le somme dallo stesso dovute per effetto della responsabilità solidale e illimitata?
L'Associazione ha affermato che una cancellazione dal registro imprese come quella di Bruno Gianoncelli «rimarrà unica negli annali di storia delle Camere di commercio di tutta Italia». Si invitano i volonterosi a trovare un caso analogo. Ci sono leggi ben precise, che devono essere rispettate prima di cancellare un socio di una società in nome collettivo dal pubblico registro delle imprese. Il conservatore deve accertare a norma di legge che l'atto sia stato notificato a tutti gli interessati (soci, società e creditori). Il Codice Civile stabilisce che ciascun creditore deve essere informato personalmente con lettera raccomandata. (sulla vicenda del recesso le associazioni Insieme per la Giustizia e Osservatorio europeo sulla legalità non lasceranno nulla di intentato). A prescindere da quanto sopra, non si comprende perché, signor curatore, si senta diffamato da tale affermazione, dal momento che la cancellazione è avvenuta un anno e mezzo prima che Lei entrasse in scena.
Sul caso delle pensioni i fatti non sono forse stati riportati fedelmente, decreto per decreto, osservazione per osservazione? Togliere l'unica fonte di sopravvivenza quale la pensione non equivale forse a togliere il pane di bocca? La stessa legge fallimentare (articolo 46) salvaguarda il diritto dei falliti a percepire la pensione o le somme necessarie per la sopravvivenza. Cosa c'è di offensivo nel dire che le pensioni non avrebbero in ogni caso risollevato le sorti del fallimento? (si accettano prove contrarie). Il Tribunale di Sondrio, ha colto appieno la gravità della situazione, tanto che, a seguito di ricorso presentato da Franco e Peppino, ha disposto la riassegnazione delle pensioni.
Per il caso della signora Lina Moretti (91 anni compiuti) è stato affermato che il curatore si è trincerato dietro pseudo-interessi del fallimento per negare alla stessa la possibilità di affittare. «Il fallimento non ha interesse» è il termine da Lei usato per diffidare, per iscritto, la signora Moretti a locare gli immobili. I creditori (quantomeno alcuni) hanno opinioni diametralmente opposte alle Sue: da un lato, la mancata locazione ha determinato quattro anni di perdita di introiti di tutto rispetto, mentre, dall'altro, per la signora Moretti è sorto il presupposto per il risarcimento del mancato guadagno, con conseguente ulteriore danno per il fallimento. Cosa c'è di strano e di offensivo nell'affermare: «Gli immobili sono stati messi all'asta tentando un primo esperimento»? e «ritentando…»? «È lecito presumere che possa esservi un terzo tentativo». Nell'istanza 6 aprile 2000 al Giudice delegato per la vendita all'asta degli immobili Lei affermava letteralmente: «I fatti sopra descritti (causa legale, Nda) rendono sicuramente meno appetibili i beni da realizzare, ma il sottoscritto ritiene che si debba procedere ugualmente alla vendita degli stessi, o quantomeno tentare un primo esperimento di vendita…». Il primo esperimento è andato deserto. È stato indetto un secondo esperimento con ribasso di 210 milioni, pure andato deserto. Il prossimo esperimento, quando ci sarà, non potrà che essere il terzo. Per quale motivo la parola "tentare", se usata da Lei, signor curatore, è lecita, e se usata dall'associazione per illustrare i fatti, diventa diffamatoria?
Il caso di Patrizia non è forse eclatante? L'Istituto SanPaolo Imi, di punto in bianco, ha prelevato, senza titolo, dieci milioni dal conto corrente della ragazza, mandandolo in rosso di sette milioni, privandola di tutti i suoi risparmi (tre milioni) frutto di duro lavoro quotidiano e di un misero stipendio mensile. Le associazioni che hanno a cuore i problemi della giustizia hanno il diritto/dovere di informare l'opinione pubblica e di lanciare accorati appelli alle istituzioni e agli organismi interessati. (C.P., art. 599, comma 2: «Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 594 e 595 (diffamazione, Nda) nello stato d'ira determinato da un fatto ingiusto altrui e subito dopo di esso»).
Ah, dimenticavo: anche l'affermazione di Franco e Peppino: «C'è una cosa che non potranno mai portarci via: la nostra dignità» avrebbe offeso la Sua onorabilità. Non Le sembra di esagerare? Franco e Peppino hanno perso il lavoro, l'azienda, il patrimonio e, all'epoca dei fatti anche la pensione. Sono anziani e molto malati. Vogliamo lasciar loro almeno la libertà di opinione, sacrosanto diritto sancito dalla Costituzione?
Stia tranquillo, sig. Curatore, Enea ed io, uniti più che mai nelle battaglie in cui crediamo, affronteremo a testa alta la causa civile da Lei promossa nei nostri confronti. Abbiamo anche noi molte cose da dire e da chiedere.



[DIDASCALIA DELL'ILLUSTRAZIONE (che viene omessa nella versione on line)]:
Patrizia Gianoncelli

(da 'l Gazetin, LUGLIO 2001)



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