FALLIMENTOPOLI. CASO CODAZZI
Una kafkiana condanna
per bancarotta semplice
E la riabilitazione civile negata
per una multa di diciottomila lire...
Prosegue la "salita al Calvario" del Codazzi, iniziata
con la sentenza dichiarativa di fallimento
di LUCIANO CODAZZI
Come ricorderete (e colgo
l'occasione per rinnovare il ringraziamento a tutti coloro che
seguono con attenzione e partecipazione la mia vicenda, oltre al
giornale che mi ospita), eravamo arrivati al 28 aprile 1983, con
la chiusura del fallimento per insussistenza di passivo ('l
Gazetin, gennaio 1997). Potete
immaginarvi lo stato in cui mi trovavo. Il giorno del rientro in
possesso dei miei beni dovetti distruggere, come in parte
documentano le istantanee dell'epoca che illustrano questa
puntata, una gran quantità di merce avariata. E questo mentre
io, impossibilitato a esercitare la mia attività e gravato di
danni e spese di cui già vi ho accennato, facevo la fame...
Ciliegina sulla torta, l'apposita Commissione presso la Camera di
Commercio respinge la mia domanda di reiscrizione nell'elenco
transitorio di Agenti e Rappresentanti di commercio («L'iscrizione
viene negata per mancanza dei requisiti previsti dall'art. 5
-lettera c- delle legge 12.3.1968, n. 316»1) con deliberazione n. 22 del 28
novembre 1983 (presenti i componenti Renzo CATTANEO -presidente-,
Umberto MONTANI, Giovanni Andrea RASCHI, Giordano PIANI, Giuseppe
DE TOMA, Angelo BERTALLI, Antonio VENOSTA, Ferruccio VITALI e
Luigi POMI; assente Giovanni FORMOLLI). Da notare che mi era
stato consigliato di inoltrare la domanda dal Direttore
dell'Unione Commercianti, Carlo GIUGNI.
La forzata (e illegittima!) interruzione
dell'attività e poi la continua impossibilità a riprenderla -
perdurata, come si è visto e come si vedrà, per tutti questi
anni - hanno causato il gravissimo danno di impedirmi di
raggiungere i massimali di pensione (mi mancavano ormai
pochissimi anni, quando è iniziata questa brutta storia) che
qualcuno, prima o poi, dovrà pagare. Probabilmente speravano che
crepassi e c'è da dire che, con tutto quello che ho dovuto
subire, è un vero miracolo che sia ancora qui a raccontarvelo.
Un amico ebbe infatti a dirmi, a proposito della vicenda di
Novate2,
che c'era mancato soltanto "un accidentale colpo di
pistola"...
Ma pensate che tutto sia finito lì?
La condanna, poi annullata
Dopo la bufala presa con la sentenza
dichiarativa, per la quale - come sono venuto apprendendo più
tardi - sussisterebbe anche una precisa responsabilità dei
magistrati, ci si sarebbe potuto aspettare un'azione per limitare
il più possibile i danni e, poi, per cercare di rimediare. La
procedura fallimentare, come probabilmente molti di voi già
sanno, si svolge in ambito civilistico senza necessariamente
avere delle conseguenze penali. Ma, nella sua relazione finale
del 26/04/83, il curatore fallimentare dott. Corrado COTTICA
aveva segnalato che «il fallito non ha tenuto le scritture e
i libri contabili previsti dagli artt. 2214 e segg. del c.c.».
Così, incurante di quanto sopra o forse proprio guidata da
un'oscura regia che intendeva stroncare ogni mia possibilità di
difesa e di reazione, l'efficientissima macchina del ns. sistema
giudiziario si rimise prontamente in moto e il Pretore di
Sondrio, dott. Carmelo GUADAGNINO, con sentenza n. 222 in data 1°
dicembre 1983 mi dichiarava «colpevole» del reato
ascrittomi e, «concessa l'attenuante della speciale tenuità
del danno e concesse altresì le attenuanti generiche», mi
condannava per "bancarotta semplice" (40 giorni di
reclusione e pagamento spese processuali, con beneficio della
condizionale) e mi dichiarava «inabilitato all'esercizio di
imprese commerciali ed incapace ad esercitare uffici direttivi
presso qualsiasi impresa per due mesi». A nulla valse
l'assistenza e difesa del bravo avv. Edgardo FOPPOLI che
giustamente sostenne la non sussistenza, nel mio caso,
dell'obbligo alla tenuta del libro giornale e delle altre
scritture contabili. Cosa sempre asserita dalla stessa Unione
Commercianti, che mi teneva la contabilità come già ho avuto
modo di riferire ('l Gazetin, novembre
1996), in quanto - come conferma ancora oggi il dott. Matteo
RUSSO - ero in "contabilità semplificata" e inoltre,
come mi hanno sempre detto tutti i commercialisti ed esperti vari
che ho avuto modo di sentire in questi anni, ero un "piccolo
imprenditore". La qual cosa, del resto, veniva evidenziata
dallo stesso dott. Cottica, nella sopra citata segnalazione che
aveva dato origine al procedimento penale: «...ritenuto per
altro doveroso far presente che il Codazzi può forse essere
considerato piccolo imprenditore ai sensi dell'art. 2083 del c.c.
(...)».
Il fatto è che, così stando le cose (e oggi a
voi sembrerà tanto ovvio, ma 14 anni fa e nella situazione in
cui mi trovavo non era affatto semplice farlo emergere), non
potevo nemmeno essere dichiarato fallito. Così, per cercare di
coprire un errore, se ne commise un altro ancor più grave? Ciò
emerge sempre più limpidamente dall'appello, cui l'avv. Foppoli
fa ovviamente ricorso e che venne celebrato presso il Tribunale
di Sondrio. Nelle motivazioni della sentenza confermativa di
condanna (n. 180 in data 13 aprile 1984) si può infatti,
testualmente, leggere: «Inoltre, poiché per il citato art. 1
della legge fall. il piccolo imprenditore non può essere
dichiarato fallito, l'avvenuta dichiarazione di fallimento fa
stato anche circa il fatto che quel soggetto non è piccolo
imprenditore». Da notare che componevano il collegio
giudicante i magistrati dott. Luigi MINOTTA (presidente), dott.
Pietro PACI e dott. Alessandro CANNEVALE (giudici): i primi due,
come forse ricorderete, sono gli stessi che dichiararono il
fallimento. (Qui siamo davvero all'assurdo kafkiano: il
piccolo imprenditore non può essere dichiarato fallito; poiché
l'abbiamo dichiarato fallito, Codazzi non è un piccolo
imprenditore! - Ndr).
A questo proposito ricordo ancora la frase che
mi rivolse lo stimato avv. Foppoli, di fronte alla Corte che
aveva appena pronunciato la sentenza: «Codazzi, mi voglio
divertire: andiamo in Cassazione!» E non si trattava di uno
scatto impulsivo o di una vana promessa (quali, purtroppo, si
rivelarono quelle dei suoi predecessori che contribuirono, per
incapacità o malafede, a cacciarmi in quella brutta situazione):
proprio così fece, l'avv. Foppoli, e presentò ricorso in
Cassazione pochi mesi prima della sua morte, prematuramente
avvenuta - come ebbi già modo di dirvi - nel 1985, quando, per
questo triste motivo, dovetti affidare il patrocinio a sua figlia
(avv. Lucia FOPPOLI) in collaborazione con l'avv. Marco BONOMO.
La Corte di Cassazione, con sentenza del 28
aprile 1987 (dieci anni fa!), annulla la sentenza del
Tribunale, «x amnistia» come il Cancelliere annota in
calce alla medesima in data 3 novembre 1988. Sentenza che nessuno
si prende la briga di notificarmi: anch'io, come voi, ne vengo a
conoscenza soltanto in questi giorni, essendomi recato in
Cancelleria per acquisire della documentazione che mi mancava ai
fini di questo racconto. Ecco perché sono sempre più ai ferri
corti e sul piede di guerra nei confronti di tutti i responsabili
che, con colpa e dolo, hanno contribuito alla irreparabile rovina
della mia invidiabile azienda, cercando poi in ogni modo, anche
con accuse false, di nascondere queste responsabilità. Ma questa
è un'altra storia... che vedremo seguendo l'evolversi dei
procedimenti incardinati e delle arbitrarie archiviazioni.
Negata anche la riabilitazione
Rimanendo per il momento alla fine
degli anni '80, io cercai ovviamente di reagire, come ho sempre
fatto, e il problema che si poneva era quello della
riabilitazione civile per potermi iscrivere al ruolo degli agenti
e rappresentanti di commercio, attività che dovevo
necessariamente riprendere non avendo altra fonte di reddito.
Così, anche se con un po' di lungaggini, il citato studio
Bonomo/Foppoli presentò l'apposita istanza, che venne depositata
in Cancelleria il 23 dicembre 1987. Va evidenziato che
nemmeno i legali erano a conoscenza, malgrado l'annotazione che
ho citato sopra e benché ne preannunciassero l'esito,
dell'intervenuta sentenza della Cassazione. Infatti scrivevano in
quel ricorso: «Non ostano alla concessione della richiesta
riabilitazione precedenti penali. Vero è che è pendente avanti
alla Corte di Cassazione procedimento penale per bancarotta
semplice (di per sé non ostativo nemmeno in caso di condanna
definitiva) che è però destinato a chiudersi con dichiarazione
di estinzione del reato per intervenuta amnistia». E, più
oltre, ancora scrivevano: «Si allegano alla presente istanza
copia semplice e non autenticata dei documenti citati in calce,
in quanto il fascicolo del Codazzi (n. 3/83 registro
fallimenti) è irreperibile presso la cancelleria
commerciale», depositando tra le citate copie appunto anche «...5)
sentenza della Pretura di Sondrio dell'1 dicembre 1983 contro il
Codazzi». Se il fascicolo non fosse stato
"irreperibile", avrebbero potuto conoscere, come è
successo a me l'altro giorno, l'annotazione dell'intervenuta
sentenza di Cassazione.
Ma, al di là di questi misteri, che già
comunque indicano una chiara volontà persecutoria nei miei
confronti e che dovranno essere uno per uno chiariti, il
Tribunale riunito in Camera di Consiglio con l'intervento dei
magistrati dott. Francesco S. CERRACCHIO (Presidente), dott.
Vincenzo VENEZIA (Giudice relatore) e dott. Franco VENARUCCI
(Giudice) rigettò - con sentenza n. 57 del 28 marzo 1988
- l'istanza di riabilitazione. Nessuna opposizione era stata
proposta dopo la rituale pubblicazione «mediante affissione
alla porta esterna del Tribunale» e il P.M. aveva espresso «parere
favorevole all'accoglimento della domanda». Quali furono,
allora, i motivi della decisione?
La «condizione ostativa alla riabilitazione
è la condanna inflitta al richiedente in data 15.6.1972 dal
Pretore di Menaggio per il reato di frode imposte di consumo»
scrivevano i giudici e, quindi, «il richiedente avrebbe dovuto
far procedere la riabilitazione penale per la detta condanna».
In realtà, come avrò modo di approfondire, tale frode non era
mai stata compiuta, testimone il dott. Riccardo GATTO di
Gravedona (all'epoca incaricato alle bollette del dazio) e come
verbalizzato in un interrogatorio della Guardia di Finanza di
Morbegno. Il fatto è che allora, da un legale, mi era stato
consigliato di pagare la multa (18.000 lire) anziché stare a
fare ricorso poiché intanto "non avrebbe avuto alcuna
conseguenza". E inoltre, quel che
più interessa qui, come mai tale condanna non figurava nei
certificati generale e dei carichi pendenti che pure i miei
difensori depositarono con la documentazione come risulta
dall'istanza, né di essa era a conoscenza il P.M., ma uscì
soltanto nello svoglimento del processo? [si veda successiva precisazione
- Ndr] Il Giudice relatore, per la cronaca e per semplice
coincidenza ovviamente, era - ricorderete - il terzo magistrato
della sentenza dichiarativa che però non era nel consiglio della
condanna per bancarotta...
È soltanto una mia fissazione o non si vede
anche qui la manifestazione di una pervicace volontà di mettermi
completamente sul lastrico, inibendomi ogni possibilità di
ripresa dell'attività? Un disegno abilmente orchestrato e
puntigliosamente realizzato?
[DIDASCALIA DELLE ILLUSTRAZIONI:]
«Mentre facevo la fame, essendomi negata ogni
possibilità di lavoro e di guadagno, dovetti distruggere una
gran quantità di merce (pagata, con relative imposte e tasse!)
lasciata deperire». Luciano Codazzi indica un campione dei
generi che erano depositati nel suo magazzino costituito da
cantina con celle frigorifere, rimessa e piano elevato con
relativo montacarichi. Merce che fu costretto a bruciare alla
chiusura del fallimento.
(foto Pietro BONGIASCIA, Sondrio).
Per informazione dei sempre più numerosi interessati che seguono la vicenda, si rende noto che si è abbonato al Gazetin il dott. commercialista Vanna Mottarelli, cui Codazzi ha affidato l'incarico di esaminare la sua vicenda sotto il profilo fiscale, mentre da questo numero il giornale viene inviato, sempre su commissione del sig. Codazzi, anche ai seguenti nominativi: Luigi Galperti, dott. Valentino Sigala, G.Battista Stefanini (Alimentari Corteno Golgi), Caglio Star Spa (Castelnovo VC), Coop. Latteria Soresinese, avv. Ambrogio Denti, dott. Riccardo Gatto, Ittimport Spa (Lecco), comm. Alberto Villa (Comavicola Spa, Milano) e comm. Milino Rigamonti (Salumificio Spa).
(da 'l Gazetin, MARZO 1997)
[NOTE:]
1
"Disciplina della professione di agente e rappresentante di
commercio", ora abrogata e sostituita dalla legge 3 maggio
1985, n. 204. Ndr
2
Riferita sul Gazetin, in 5 puntate, da febbraio a ottobre
1996 [vedi
riassunto]. Ndr
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