FALLIMENTOPOLI. CASO CODAZZI
Un ben strano fallimento
La sentenza dichiarativa del 27
gennaio 1993: prima stazione della salita al Calvario
Da 14 anni si sta gettando acqua sul fuoco, con raggiri e
soprusi, come se si pretendesse di stabilire che non è successo
proprio nulla
di LUCIANO CODAZZI
Il racconto del "Giallo del furgone",
che avete avuto la pazienza, fin qui, di seguire e che
riprenderemo a tempo debito dal punto esatto in cui l'abbiamo
lasciato, ha reso concretamente l'idea dei raggiri subiti e delle
sofferenze sopportate. Per non parlare dei danni materiali e
morali, che dovranno comunque ritrovare la loro consistenza nelle
sedi a ciò deputate. Tutta questa incredibile, ma vera come il
sole, vicenda è da inserire in un quadro di manovre tendenti a
"stroncarmi", a cercare di farmi tacere, a
"gettare acqua sul fuoco" come si suol dire... In
proposito tengo però a far sapere che io ho il patentino di Fuochista,
conseguito al "Corso di caseificio" presso l'Istituto
"Legato G. Pastori" di Orzivecchi (BS), come attestato
dal libretto personale N. 2138 rilasciatomi da detto Istituto,
per conto dell'Associazione nazionale per il controllo della
combustione - Sezione della Lombardia orientale, in data 3
febbraio 1953, che ho mostrato in redazione anche per soddisfare
la curiosità del "collega Casaro" Mazzoni. Chi ha
orecchie per intendere, intenda!
La storia del furgone, poi, è servita anche a
far capire a tutti, senza ombra di dubbio, del perché solo in
questi mesi io sia riuscito a riprendere il corso dei miei
diritti civili. Altrimenti, infatti, mi si sarebbe potuto dire:
«Ma perché solo adesso fai questo?», o «Perché quello non
l'hai fatto prima?» Come raccontai nella prima puntata, sono
rimasto 2.100 giorni senza documento di identità, per i motivi
che ora tutti conoscete, e voi sapete bene che, senza quello, non
è possibile farsi rilasciare documentazioni, dare mandato a un
legale e, nemmeno, muoversi liberamente... È per questo, ad
esempio, che solo il 14 ottobre scorso ho potuto chiudere la mia
partita IVA per "cessazione di attività", avendo solo
recentissimamente scoperto che risultavo ancora iscritto e che
sono rimasto "cancellato" solo dal 27 gennaio 1983
(data della sentenza di fallimento) al 28 aprile 1983 (chiusura
del fallimento per insussistenza di passivo) per denunce di
variazione presentate (dal Tribunale?) rispettivamente in data
25.2.1983 e 6.7.1983, così come risulta da certificazione
rilasciatami dal Direttore dell'Ufficio Provinciale IVA
(certificato che, come mi è stato confermato, non mi sarebbe
stata rilasciato senza esibizione della carta di identità).
Posso così ora cominciare a raccontarvi la
storia del mio fallimento, dall'inizio e senza timore che
affermazioni, anche pesanti, che sono costretto a fare e nomi che
devo per forza dire possano essere usati contro di me, o contro
il giornale che ha avuto, unico, la pazienza di tanto
cortesemente ospitarmi.
Io avevo sempre tenuto direttamente la
contabilità della mia azienda e dei relativi libri, con deposito
del registro di carico e scarico delle sostanze zuccherine presso
il competente ufficio del Corpo Forestale dello Stato,
avvalendomi dell'assistenza dell'Unione Commercianti soltanto per
le dichiarazioni (dei redditi, IVA, etc.). Il tutto sempre con
estrema precisione e correttezza, come è stato accertato e dato
atto, in diverse circostanze, sia dai clienti che dai diversi
uffici via via incontrati nella vicenda, come riferirò andando
per ordine nel racconto. All'inizio degli anni '80 mio fratello,
geom. Alberto CODAZZI, ora come allora funzionario della Banca
Popolare di Sondrio, mi suggerisce di fare riferimento
all'ufficio di tale rag. Antonio FORNI, ex funzionario della
stessa Banca, che aveva avviato un'attività di consulenza con un
ufficio a Sondrio e uno a Colico. Nonostante la fiducia
inizialmente accordata, sulla base delle raccomandazioni del
fratello, emergono alcuni fatti che mi fanno dapprima preoccupare
e poi prendere una decisione.
Il 30 luglio 1981 consegno al rag. Forni un
assegno (BPS n. 087.39378) di Lit. 326.000 per delle rettifiche
IVA, avverso alle quali avrebbe comunque presentato idonei
ricorsi (Commissioni tributarie), con l'assicurazione che in caso
di esito favorevole tale importo mi sarebbe stato restituito. Ma,
di tali ricorsi, non potei più sapere alcunché. Il 5 maggio
1982, il ragioniere, senza nemmeno avvisarmi, fa addebitare sul
mio c/c bancario (BPS, N. 12921/20) la somma di Lit. 558.000, con
causale: «Pagamento IVA. Ricevuta consegnata a Sig. Forni», e
poiché l'azienda era abitualmente in credito di IVA mi disse poi
che il versamento era stato fatto erroneamente, ma che comunque
sarebbe stato rimborsato assieme agli altri crediti. Il 27 maggio
1982, alle ore 17.30 nel suo studio, mi dice (nonostante
l'accordo di consulenza, evidentemente, lo includesse) che non
può compilarmi la denuncia dei redditi, mettendomi a rischio -
stante l'imminenza della scadenza - delle relative sanzioni:
ritirata immediatamente tutta la documentazione, sono riuscito,
pur con le immaginabili fatiche e difficoltà, a spedire la mia
dichiarazione, proprio il 31 maggio, pochi minuti prima che
chiudesse l'ufficio postale, completata per buona fortuna grazie
all'aiuto del dott. Luigi GALPERTI, cui pagai regolare parcella
(n. 15 del 30.6.1982) di Lit. 115.000.
Per inquadrare meglio tali episodi, anche a
vantaggio di chi non conosce la cronaca successiva, si sappia che
furono molti altri in quel periodo, in provincia e fuori, a
essere danneggiati da questo rag. Antonio Forni, personaggio che
aveva diverse questioni in ballo e che poi, non so dirvi
esattamente quando, si suicidò impiccandosi.
Dopo quei fatti, comunque, e soprattutto la
dannosa esperienza della dichiarazione, io portai tutta la
contabilità all'Unione Commercianti che disponeva di un apposito
ufficio, in favore degli associati, seguito dal dott. Matteo
RUSSO e dalla rag. Marina SPEZIALE. Io sono tranquillo: tutto
funziona alla perfezione e tutto è a posto! Avevo in ballo
alcune pendenze (recuperi crediti, ricorsi, etc.) normali per
un'azienda di quelle dimensioni (in quel periodo avevo più di
600 clienti); fra queste una causa di lavoro, per provvigioni e
rimborsi spese per mie prestazioni in qualità di agente di
commercio, contro la Società Prodotti Caseari GIOVANNI COLOMBO
S.P.A. di Cava Manara (PV), difeso dall'avv. Mario POLINI di
Sondrio che aveva come corrispondente l'avv. Ruggero GRECO di
Pavia. Proprio quest'ultimo, con raccomandata dell'11 settembre
1982, scriveva all'Avv. Polini, il quale me ne riferì, che la
causa sarebbe stata discussa dinnanzi al collegio, a Pavia,
nell'udienza del 27 gennaio 1983. Lo stesso giorno, senza
aver ricevuto alcun avviso né dal Tribunale né dai legali e
quindi senza la mia presenza, viene invece emessa, a Sondrio,
sentenza dichiarativa di fallimento (N. 3/83 Reg. Fall.) ad
istanza della stessa Giovanni Colombo Spa (che a sua volta
vantava un credito di Lit. 1.370.000, notevolmente inferiore al
debito nei miei confronti oggetto della causa del lavoro di cui
ho detto) e nominando giudice delegato il dott. Pietro PACI e
curatore il dott. Corrado COTTICA.
Cosa si può dire di questa mostruosità? A chi
si intende anche solo un poco di fallimenti o ai numerosi
avvocati che seguono questa storia si saranno già rizzati i
capelli in testa: lasciando perdere per il momento la procedura
seguita, la mia azienda intanto non poteva essere dichiarata
fallita perché non era in stato debitorio, né versava in alcuna
difficoltà finanziaria (ho già fatto cenno alle dimensioni
dell'attività); si trattava poi di un piccolo imprenditore,
"autonomo", costituzionalmente tutelato come cercherò
di approfondire in seguito e inoltre l'azienda vantava un
notevole credito di IVA. Malgrado tutto ciò, non è stata
lasciata la possibilità né di un'amministrazione controllata o
di un concordato, ma subito la sentenza dichiarativa di
fallimento!
Si consideri, ancora, che ero
un distributore di prodotti di primissima necessità e deperibili
(come lievito per panificazione, burro CEE, etc.): molti clienti
si sono improvvisamente trovati senza "materie prime"
talvolta indispensabili alla loro attività. Per tornare alle
attestazioni di stima e correttezza cui facevo riferimento in
premessa, si prenda nota che nessuno di questi ha chiesto i danni
per il mancato preavviso, sapendo che non avevo alcuna
responsabilità o colpa nell'interruzione delle consegne. Di ciò
fa fede anche il capo-area della S.T.L. (Società Trentina
Lieviti) con sede in Ravina di Trento, Pierluigi MALFATTI, il
quale mi riferì che l'avv. Giancarlo GIUGNI (difensore, appunto,
della STL) avesse apostrofato l'avv. Angelo SASSELLA (legale
della controparte Colombo Spa) con una frase di questo tenore:
"Fai attenzione, perché potrai essere responsabile di
questo fallimento! Il Codazzi ha l'incarico di depositario della
STL e non mi risulta che abbia delle morosità..." Per la
cronaca, i due avvocati, Giugni e Sassella, all'epoca avevano
ancora lo studio assieme, mentre più tardi si sono separati;
alcuni amici di Livigno mi raccontano oggi che l'avv. Sassella
non dimostra molta imparzialità nemmeno nell'attività in cui si
trova impegnato in quella "rocca franca"... (ma questa
è un'altra storia).
Il giorno 2 febbraio 1983, prima ancora che mi venisse notificato
l'estratto della sentenza di fallimento, il giudice delegato e il
curatore, Pace e Cottica, fecero sigillare tutti i beni
dell'azienda inclusa la mia abitazione (Sondrio, Via Visciatro n.
19/B), letto e indumenti compresi (cfr. foto di quel tempo),
sbattendomi letteralmente in strada...
[DIDASCALIA DELLE ILLUSTRAZIONI:]
- Luciano Codazzi ritratto nella foto-tessera sul
patentino di fuochista (1953).
- Interno dell'abitazione di Via Visciastro, 19/B in Sondrio,
come arredato alla data del 2 febbraio 1983.
Luciano Codazzi ringrazia sentitamente la Sig.a Alessandra Codazzi di Roma, già senatrice della Repubblica, per la telefonata di partecipazione e incoraggiamento fatta al giornale ai primi di ottobre. Nel contempo intende salutare la bravissima civilista avv. Rossana IEMOLI di Sondrio, che segue da tempo la sua vicenda, e alla quale, da questo numero, dà mandato di inviare 'l Gazetin.
(da 'l Gazetin, NOVEMBRE 1996)
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