caso Fallimento GIANONCELLI |
FALLIMENTOPOLI. SVILUPPI
CASO GIANONCELLI: LA VICENDA DELLE PENSIONI
«Una
cosa non potranno mai portarci via:
la nostra dignità»*
È
inaudito che nel 2000 accadano ancora simili cose
a cura del Comitato territoriale "INSIEME PER LA GIUSTIZIA"
La nostra Associazione credeva
che sarebbe stato sufficiente lanciare accorati appelli al Tribunale
di Sondrio, per fornire ai giudici la chiave di lettura delle
intricate vicende collegate al fallimento della Società
Gianoncelli. Il risultato? Franco e Peppino Gianoncelli rimarranno
senza percepire una lira di pensione (nel senso letterale del
termine) fino al mese, rispettivamente, di luglio 2001 e di maggio
2002. Siamo forse stati noi la causa involontaria di tanta
sofferenza? Abbiamo chiesto loro scusa. Ci hanno risposto: «C’è
una cosa che non potranno mai portarci via: la nostra dignità.
Da soli ci saremmo annientati. Il cammino dei fallimenti è
cosparso di croci. Sono molti coloro che, non reggendo alla
solitudine, si sono suicidati, si sono lasciati morire d’inedia
o si sono dati all’alcool. L’Associazione ci ha dato la
forza di lottare. Pur nella sventura, noi ci reputiamo fortunati
perché abbiamo la solidarietà di molta gente».
Sperando che il Tribunale di Sondrio possa vedere il proprio
comportamento come riflesso in uno specchio, narriamo qui di seguito
l’ennesima pagina amara del "dramma" dei signori
Franco e Peppino Gianoncelli, a cui va tutta la nostra stima e
solidarietà.
I termini della questione
La
vicenda fonda le proprie radici nella sentenza n. 6518 del mese di
luglio 1998, con la quale la Corte di Cassazione, sciogliendo un nodo
da tempo dibattuto in dottrina, affermava che i crediti d’imposta,
come peraltro i debiti d’imposta, non soggiacciono alla legge
del concorso fallimentare.
Franco e Peppino Gianoncelli chiesero
il rimborso di crediti d’imposta con il modello 730/2000, che
vennero pagati in aggiunta alla rata di pensione del mese di
settembre. Il pagamento avvenne mediante assegni circolari nominativi
e non trasferibili, emessi dalla Banca Popolare di Sondrio.
Peppino,
all’atto dell’incasso del proprio assegno circolare, si
vide opporre rifiuto agli sportelli della Banca Popolare di Sondrio,
in quanto "fallito". Per evitare ulteriori umiliazioni,
sebbene non fosse necessario (solo gli intestatari possono incassare
gli assegni circolari non trasferibili), il fratello Franco chiese,
telefonicamente, autorizzazione al curatore, il quale declinò
la propria competenza al riguardo («chiedete
l’autorizzazione al Giudice delegato, oppure consultate il
vostro avvocato di fiducia»). I falliti, non potendo
contare sulla collaborazione del curatore, in data 7 settembre 2000,
rivendicando il proprio diritto a trattenere le somme, inoltrarono
segnalazione al presidente del Tribunale, al procuratore della
Repubblica, al giudice delegato e al curatore per conoscenza.
Contemporaneamente presentarono, altrove, gli assegni all’incasso,
che andò a buon fine (non poteva essere diversamente, pena la
levata del protesto).
Da quel momento seguirono nell’ordine
(le frasi tra virgolette indicano, in sintesi, il contenuto dei
documenti):
Richiesta del curatore datata 8 settembre: «Consegnatemi gli assegni in vostro possesso; fate domanda al giudice delegato per ottenere la restituzione delle somme o di parte di esse».
Risposta di Franco e Peppino Gianoncelli (di seguito solo "risposta") in data 9 settembre: «Solo noi abbiamo titolo per incassare gli assegni circolari, in quanto "non trasferibili". Le somme (pensioni e rimborso IRPEF) sono di nostra esclusiva competenza».
Primo decreto del Giudice delegato, datato 11 settembre, notificato il 22 settembre 2000: «Regolarizzate con marca da bollo la segnalazione del 7 settembre. Si rigetta. Qualora inoltrerete istanza documentata potrei modificare la mia decisione».
Risposta in data 23 settembre: «La nostra lettera del 7 settembre era una semplice segnalazione. Non comprendiamo il motivo del rigetto, dal momento che non abbiamo chiesto niente».
Secondo decreto del Gd, datato 19 settembre, notificato in data 25 settembre: «Consegnate al curatore gli assegni in vostro possesso, i quali contengono rate di pensione di competenza vostra e crediti d’imposta di competenza del fallimento. Qualora inoltrerete domanda, con indicazione dell’importo delle pensioni, disporrò la restituzione di tale importo».
Ricorso avverso il decreto del 19 settembre: «Abbiamo provveduto da circa venti giorni all’incasso degli assegni circolari, in quanto diversamente non potevamo sbarcare il lunario. Sotto il profilo giuridico ribadiamo che i crediti d’imposta sono di nostra competenza».
Costituzione in giudizio del curatore: «Non ero a conoscenza che i falliti percepissero la pensione».
Note dell’udienza in replica alla costituzione in giudizio: «Il curatore non può ignorare che siamo titolari di pensione, in quanto esamina tutta la nostra corrispondenza e ha consegnato egli stesso il libretto a Peppino Gianoncelli. Il decreto del Gd è, in ogni caso, inattuabile perché abbiamo già incassato gli assegni circolari».
Udienza del 19 ottobre 2000: «Il Tribunale si riserva la decisione».
Terzo decreto del Gd, datato 21 ottobre (emesso in pendenza di giudizio): «Le rate di pensione vengono acquisite al fallimento a far tempo dal mese di novembre; il curatore dovrà chiedere alla Banca Popolare di Sondrio la ripetizione delle somme degli assegni circolari. Se mi inoltrerete apposita domanda, determinerò le somme necessarie al vostro mantenimento».
Ricorso avverso il terzo decreto Gd: «Il decreto del 21 ottobre è in contrasto con quello del 19 settembre, con il quale il Gd riconosceva espressamente che le pensioni sono di nostra competenza. Il Tribunale non si è ancora pronunciato sulla competenza dei crediti d’imposta». (La discussione avverrà il 7 dicembre, a giornale in stampa).
Domanda documentata dei falliti per ottenere lo svincolo delle quote di pensione: «La pensione è a malapena sufficienti per vivere e, inoltre, siamo entrambi ammalati cronici».
Rigetto del primo ricorso (nessuna pronuncia in ordine alla competenza dei crediti d’imposta): «I falliti non hanno indicato l’entità de gli importi percepiti e non hanno provato che gli stessi fossero inerenti a pensioni e a crediti d’imposta».
Quarto decreto del Gd, notificato in data 15 novembre 2000: «Confermo integralmente il decreto del 21 ottobre. Per il vostro mantenimento sarebbe sufficiente un importo pari al minimo di pensione (circa 700.000 lire), ma, visto che avete documentato di essere ammalati, sebbene non in forma grave, vi assegno l’intera pensione. Tuttavia, visto che avete incassato l’importo dei crediti d’imposta, vi pignoro le pensioni fino a completo assorbimento, ovvero fino al luglio 2001, per quanto riguarda la pensione di Franco Gianoncelli e fino al maggio 2002 per quanto concerne la pensione di Peppino Gianoncelli».
Ricorso avverso il quarto decreto del Gd: «Il pignoramento delle pensioni è una duplicazione di somme, già chieste dal Gd, con il decreto del 21 ottobre, alla BPS. La sentenza di rigetto del ricorso avverso il decreto del 19 settembre non fa alcuna menzione della competenza dei crediti d’imposta. L’articolo 545 del Codice di Procedura Civile fa divieto di pignorare, per recupero crediti, più di un quinto della pensione». (Anche questa discussione avverrà il 7 dicembre 2000).
Il Curatore, dott. Marco Cottica, sul settimanale
Centro valle di domenica 12 novembre 2000, fornì
quella che, a suo avviso, era l’interpretazione giuridica dei
fatti. Tale interpretazione non rende onore alla verità. È
necessario fare chiarezza e inquadrare i fatti, nella loro giusta
luce.
Nessuna norma della legge fallimentare stabilisce che i
falliti debbano inoltrare domanda per trattenere somme da loro
percepite alla piena luce del sole. Del resto, se così non
fosse, per quale motivo i falliti vengono sottoposti all’umiliante
procedura del controllo "a vista" e del vaglio della
corrispondenza personale? A che cosa serve la figura del curatore?
Gli organi del fallimento pretendevano forse che i falliti dicessero:
«Dal controllo della corrispondenza vi è, per caso,
sfuggito che noi percepiamo la pensione? Possiamo tenercela?»
Il
Giudice delegato al fallimento, dott. Fabrizio Fanfarillo,
con il decreto del 19 settembre 2000, da un lato, reclamava i crediti
d’imposta e, dall’altro, ammetteva (letteralmente) che le
rate di pensione (quindi la titolarità della pensione era
fatto noto) erano di competenza dei falliti. Il mese successivo (21
ottobre 2000), il medesimo, contraddicendo la propria precedente
decisione, disponeva l’acquisizione delle pensioni future
all’attivo del fallimento, invitando i falliti a inoltrare
domanda per ottenere la rifusione delle somme strettamente necessarie
per vivere. Le pensioni, entro i limiti necessari al mantenimento, ai
sensi dell’articolo 46 della legge fallimentare, non rientrano
tra i beni soggetti al fallimento (quindi non possono essere
toccate). Il Gd, pertanto, a norma di legge, avrebbe potuto chiedere
le sole somme che, a suo avviso, superavano i predetti limiti.
Qualcuno potrebbe pensare, vista la foga con cui si invocano gli
interessi dei creditori, che Franco e Peppino siano titolari di
"pensioni d’oro". Sgombriamo il campo da qualsiasi
dubbio: i predetti percepiscono mensilmente, rispettivamente, circa
lire 1.300.000 e circa lire 1.100.000. Le cifre si commentano da
sole.
«Oh bella! Percepiscono anche la
pensione?»
Il caso è complesso e pone
parecchi interrogativi. Perché il problema delle pensioni si
pone a ben tre anni dal fallimento? Qual è stata la molla che
ha indotto il Gd a cambiare rotta? Per quale motivo non ha chiesto
gli assegni con il decreto dell'11 settembre? Perché, invece
di chiedere gli assegni, non è stata chiesta la documentazione
delle somme percepite? Come mai, in data 22 settembre, è stato
notificato solo il decreto dell'11 settembre e non anche quello del
19 settembre, sebbene già emesso? Che cosa è accaduto
di tanto grave dal 19 settembre 2000 al 21 ottobre 2000? È
presto detto: le risposte dei signori Gianoncelli (legittima difesa)
hanno determinato un crescendo di provvedimenti drastici. Pure il
ricorso avverso il decreto del Gd era scomodo, in quanto i falliti
chiedevano una pronuncia di diritto: Di chi è la competenza
dei crediti d’imposta? Quale miglior mezzo di quello
dell’inammissibilità del ricorso per bypassare
l’ostacolo? I decreti di fissazione udienza del primo e del
terzo ricorso, da notificare al curatore, a cura dei falliti,
rispettivamente entro il 12 ottobre ed entro il 30 novembre, sono
stati notificati ai falliti (il primo rigorosamente per posta) l’11
ottobre pomeriggio e il 29 novembre in tarda mattinata. I ricorrenti,
nonostante i tempi bruciati, assicurarono gli adempimenti in tempo
utile, scongiurando così l'inammissibilità dei
ricorsi.
Il dott. Marco Cottica, con la propria costituzione in
giudizio al primo ricorso, ha lanciato ogni sorta di invettive
affermando, in primis, di non conoscere la condizione di pensionati
di Franco e Peppino. (Di cosa pensava vivessero?) La memoria
del curatore lasciava presagire quello che sarebbe stato l’epilogo
della vicenda. Sia al curatore che ai ricorrenti venne assegnato
termine, per memorie, fino al 15 ottobre (domenica). Tutto pareva
preordinato. Ai falliti, che prima del giorno 16 ottobre non
avrebbero potuto prendere visione della memoria del curatore, non
rimaneva che replicare con le note dell’udienza, equivalenti a
dichiarazioni a verbale. Il curatore eccepiva la tardività
delle repliche, le quali, a suo avviso, avrebbero dovuto essere
depositate entro domenica 15 ottobre (ovvero prima di poter prendere
visione della sua memoria). Il Tribunale di Sondrio, quasi volesse
ignorare la sentenza della Cassazione, ha rigettato il ricorso senza
pronunciarsi sulla competenza dei crediti d’imposta. L’organo
giudicante si è limitato a eccepire che i ricorrenti non hanno
indicato gli importi degli assegni (nessuna informazione in tal senso
è stata loro chiesta) e che non hanno dimostrato che le somme
incassate fossero realmente crediti d’imposta (Il Gd ha preso
alla lettera la comunicazione dei falliti per emettere il proprio
decreto). Il Tribunale, al contrario, andando oltre il dettato del
decreto («consegnate gli assegni in vostro possesso»),
ha rigettato il ricorso senza manco aprire una fase istruttoria e
senza dare per lette le note dell’udienza (quasi a dire: subite
e state zitti!). Le note dell’udienza, tuttavia, sono state
consegnate al curatore, il quale, forse punto nel vivo dal loro
contenuto, le ha inoltrate al Gd, per gli opportuni provvedimenti. E
così, prima ancora che il Tribunale si pronunciasse in merito
al ricorso, il Gd ha emesso un nuovo decreto, rincarando la dose
(acquisizione delle pensioni all’attivo del fallimento a far
tempo dal mese di novembre). E pensare che critichiamo tanto i
processi "alla bulgara"!!!
Franco e Peppino,
inginocchiandosi al volere del Gd (violando persino la privacy
dei loro familiari non falliti), inoltrarono domanda intesa a
ottenere che l’intera pensione percepita rimanesse, come per il
passato, nella loro piena disponibilità. Alla domanda
allegarono, oltre alle pezze giustificative di spese ripetitive, la
prova che erano entrambi ammalati in modo irreversibile (il primo in
poco tempo ha subito due interventi chirurgici e il secondo soffre di
patologia cronica).
L'interesse dei creditori…
Il
Giudice delegato con l’ultimo decreto (il quarto in ordine di
tempo), affermando che avrebbe potuto essere sufficiente per il
mantenimento una somma pari al minimo di pensione (lire 700.000) ma
che avendo documentato i falliti di essere ammalati, sebbene in
modo non molto grave (sic!!!), lasciava loro la disponibilità
dell’intera pensione ma (troppo bello per essere vero!) visto
che, a suo dire, i falliti si erano appropriati di somme di
competenza del fallimento (crediti d’imposta, sulla cui
competenza il Tribunale di Sondrio non si è ancora
pronunciato), fino all’assorbimento di tali somme (pagate dai
falliti in anticipo al fisco e dallo stesso rifuse) gli stessi non
percepiranno una lira di pensione fino al luglio 2001 (Franco) e al
maggio 2002 (Peppino). Le pensioni dei fratelli Gianoncelli inerenti
tali periodi verranno introitate dal Fallimento (a vantaggio dei
creditori, si legge nelle precisazioni del curatore).
Vogliamo
parlare del tanto decantato interesse dei creditori? Il fallimento,
dopo aver smantellato l’attività, gli automezzi e le
attrezzature, ha distribuito meno di quanto avrebbe potuto
distribuire la società con i soli crediti esigibili entro il
mese di dicembre 1997 se non fosse fallita (circa 115 milioni). A tre
anni dalla dichiarazione di fallimento sono stati distribuiti ai
creditori lire 70 milioni (per trattamento di fine rapporto, somme
che la società avrebbe dovuto pagare solo al termine del
rapporto di lavoro dipendente, ovvero dopo molti anni se l'azienda
fosse rimasta in attività) a fronte di circa 160 milioni di
incassi (lire 90 milioni sono stati spesi per costi di procedura). Il
negozio al dettaglio, in piena attività, è stato
smantellato e venduto con un ricavo, al netto dei costi di procedura,
di circa lire 5 milioni. Gli immobili sono stati messi all’asta
"tentando" un primo esperimento, andato deserto, e
"ritentando", con ribasso di oltre 200 milioni (circa 10
anni di pensione di entrambi i fratelli Gianoncelli!) un secondo
esperimento, pure andato deserto. È lecito presumere che possa
esservi un terzo tentativo, con un ulteriore ribasso di 200 milioni,
e così via. Che dire poi del fatto che è stata preclusa
la possibilità di affittare gli immobili alla signora Moretti
(90 anni, madre dei falliti), causando alla stessa un danno stimato a
tutt’oggi in lire 110 milioni (che prima o poi dovrà
essere risarcito) e altrettanto al fallimento per mancato introito?
(cfr. 'l
Gazetin, settembre
2000)
Concludiamo qui, sebbene l’elenco sia
ancora lungo. Togliere il pane di bocca a Franco e Peppino non serve
certamente a sollevare le sorti del fallimento.
C’è
ancora qualcuno che alla luce dei fatti qui narrati pensi che il
sequestro della pensione possa giovare in qualche modo ai creditori?
È inaudito che nel 2000 accadano ancora simili cose. Eppure il
Medio Evo è passato da un pezzo. Persino la conquista della
luna è già preistoria.
[DIDASCALIA DELLE ILLUSTRAZIONI (che vengono omesse
nella versione on line)]:
1. Franco e Peppino
Gianoncelli (1° e 3°, da sinistra), con familiari ed
amici.
2. Un'altra immagine della festa in casa
Gianoncelli per i novant'anni di nonna Lina.
3. La
signora Lina Moretti alla festa per il suo 90° compleanno.
(da 'l Gazetin, DICEMBRE 2000)
* Questo articolo, unitamente ad altri quattro contenuti nel presente medesimo dossier “Fallimento Gianoncelli”, è stato giudicato diffamatorio nei confronti del dott. Marco Cottica con sentenza della Corte d'Appello di Milano n. 2513/08 del 25 giugno 2008, passata in giudicato (Suprema Corte di Cassazione, sentenza n. 12594/11, depositata 14/06/2011).
[4ª PUNTATA] [6ª PUNTATA]
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