caso Fallimento GIANONCELLI |
“CASO GIANONCELLI” -
2.
La
prima pronuncia della Cassazione sul fallimento
di VANNA MOTTARELLI*
La Corte Suprema di Cassazione, sezione prima civile, con sentenza n. 2474 pronunciata in data 7 novembre 2001 e depositata il 21 febbraio 2002 (cfr. “ultim’ora” in ‘l Gazetin, aprile 2002) ha cassato il Decreto del Tribunale di Sondrio, depositato il 16/12/1999, di rigetto del reclamo proposto da taluni creditori della Società Gianoncelli avverso il primo piano di riparto, nel punto in cui riteneva inammissibili le contestazioni dei reclamanti relative alla perizia disposta per la valutazione di immobili acquisiti alla massa attiva dei fallimenti personali. La Corte medesima ha disposto il rinvio, anche per le spese del giudizio di cassazione, invitando il Tribunale di Sondrio ad attenersi «al principio di diritto secondo il quale le procedure concorsuali che coinvolgono una società di persone e i soci illimitatamente responsabili, ancorché coordinate dall’unicità del giudice delegato e del curatore, restano separate, essendovi una necessaria distinzione delle masse e degli stati passivi, onde le attività realizzate in ciascuna delle procedure non possono essere impiegate se non per far fronte a spese della procedura stessa e per soddisfare creditori in essa iscritti, in tal senso dovendo provvedere il relativo piano di riparto che sia formato ai sensi degli artt. 110 e ss. della legge fallimentare».
Tradotto in parole povere significa che la somma (circa lire 21 milioni) pagata con i fondi della Società per far fronte a spese inerenti i fallimenti dei singoli soci deve ora ritornare nel patrimonio della Società per essere distribuita ai creditori ricorrenti, primi fra tutti i dipendenti.
Per il resto, mentre il Tribunale di Sondrio aveva rigettato nel merito le singole contestazioni, la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, con una motivazione che non dispiace affatto ai creditori ricorrenti: «In relazione a nessun’altra delle censure proposte il ricorso è invece ammissibile, non configurandosi secondo la materia del decreto impugnato e le stesse prospettazioni dei ricorrenti, lesioni definitive ai diritti dei creditori, né ( per uno specifico credito) lesioni definitive e irrimediabili a un diritto di credito di uno dei soggetti interessati al riparto». In altri termini la Cassazione osserva che nessun pregiudizio deriva ai creditori da un piano di riparto parziale, in quanto gli stessi possono sempre far valere i propri diritti.
Il 24 ottobre 2002 presso il collegio del Tribunale Civile di Sondrio si è tenuta l’udienza per il riesame del reclamo alla luce delle disposizioni impartite dalla Suprema Corte di Cassazione. In quel contesto il curatore affermava di aver provveduto a girare la somma (circa lire 21 milioni) oltre interessi al fallimento della Società, prelevandola sia dal fallimento di Franco, che aveva disponibilità sufficiente, sia dal fallimento di Peppino, attingendo alle disponibilità esistenti integrate con un prestito, sia mediante contrazione di prestito per quanto riguarda il fallimento di Bruno, su cui non vi era alcuna disponibilità (stante la mancata acquisizione di qualsivoglia somma da egli percepita – nda).
Per senso di solidarietà nei confronti di Franco e Peppino, possiamo formulare una ragionevole ipotesi circa la provenienza delle somme acquisite ai loro fallimenti personali:
a comporre il patrimonio di Franco concorrono i dieci milioni prelevati coattivamente dal conto di Patrizia e le quote di pensione eccedenti l’importo di L. 1.386.000 relative al mese di ottobre 2000. Sono stati inoltre acquisiti d’ufficio, senza un decreto del giudice delegato, gli arretrati della pensione di reversibilità della moglie defunta, riliquidata dall’Inps in quanto, a far tempo dal 1997, era venuto meno il cumulo tra pensioni e compensi di amministratore;
a comporre il patrimonio di Peppino concorrono le esigue quote di pensione eccedenti l’importo percepito nel mese di ottobre 2000, quelle afferenti il periodo novembre 2000 – luglio 2001 e forse la pensione di agosto 2001 che, alla data della morte avvenuta il 14 agosto 2001, pur essendo stata versata dall’Inps, non era ancora stata erogata dal fallimento, su cui incombe l’onere di corrispondere la quota di pensione concessa ai falliti.
All’udienza del 24 ottobre 2002, i creditori ricorrenti hanno eccepito che la legge fallimentare esclude categoricamente il ricorso al prestito e che le somme spettanti ai creditori della Società avrebbero dovuto essere recuperate a carico dei percettori, in particolare del tecnico che ha redatto la perizia sugli immobili, il quale, a norma dell’articolo 111, comma 1, punto 2 della Legge Fallimentare avrebbe dovuto essere pagato con prelazione sulle cose vendute secondo l’ordine assegnato dalla legge. Non è da escludere che riguardo a quella che viene ritenuta un’indebita contrazione di prestiti e al pagamento di spese personali e delle spese di perizia in assenza del relativo ricavo possa insorgere, nella giusta sede, nuova vertenza tra i creditori dei soci e i relativi fallimenti.
Per dovere di cronaca si informa che presumibilmente la sentenza n. 2474/02 verrà pubblicata su Guida Normativa, dal momento che copia della medesima è stata chiesta dal Sole 24 Ore in data 21 febbraio 2002.
* del Comitato territoriale Insieme per la giustizia
(da 'l Gazetin, NOVEMBRE 2002)
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