caso Fallimento GIANONCELLI |
RIFLESSIONI A VOCE ALTA DI UN OCCASIONALE “CLIENTE” DELLA
GIUSTIZIA
“Bisogna
conoscerle, le leggi!”
Il
presidente del Comitato “Insieme per la giustizia”
racconta le sue istruttive avventure in Tribunale. Potrebbero
rivelarsi utili per altri cittadini…
di STEFANO BERTELLI
Nell’ultimo numero de’l
Gazetin molti lettori avranno avuto modo di apprezzare l’articolo
di Vanna Mottarelli riguardante il tentativo di conciliazione,
in relazione alla querela per diffamazione sporta dal dottor Marco
Cottica nei confronti della stessa Vanna e del sottoscritto. Con
questo mio contributo non voglio ritornare su quanto già
esposto (comunque confermo che è andata proprio come dice
Vanna), ma intendo riferire un altro episodio accaduto in precedenza,
sempre in relazione alla querela suddetta, episodio che, pure,
potrebbe costituire un interessante capitolo per un ipotetico libro
sulle disavventure in cui l’ignaro cittadino può
incappare varcando la soglia del Palazzo di Giustizia.
Avevo
ricevuto, ancor prima di Vanna, la misteriosa informazione di
garanzia, di cui ai precedenti articoli, unita all’invito a
presentarmi per l’udienza di conciliazione. Nei miei confronti
si ipotizzava il reato previsto dall’art. 595 del Codice Penale
(che poi ho scoperto essere “diffamazione”), «accertato
in data 22/06/2001, in Sondrio, in danno di Cottica Marco».
Sapevo in coscienza di non aver mai diffamato nessuno, né «in
Sondrio» (il 22 giugno 2002 mi trovavo da tutt’altra
parte), né altrove. Quella data, poi, non mi diceva
assolutamente nulla. Non veniva nemmeno chiarito in qual modo avrei
commesso il fatto: a mezzo stampa? trasmissioni radiotelevisive?
chiacchiere da bar?… Mistero assoluto.
Trovandomi, tempo
dopo, a passare, per altri motivi, dalla Cancelleria della Procura
della Repubblica, chiesi se fosse stato possibile saperne di più.
Da lì venni indirizzato alla vicina postazione di Polizia
Giudiziaria, ove un solerte funzionario, che poi ho saputo essere il
Commissario Di Zinno, consultando la pratica che mi
riguardava, disse che non potevo sapere nulla, in quanto erano in
corso le indagini. Aggiunse che solamente il Giudice per le Indagini
Preliminari, al piano di sopra, avrebbe potuto fornirmi chiarimenti.
Lasciò, tuttavia, trapelare, che anche una visita al G.I.P.
sarebbe stata inutile, dal momento che nella fase istruttoria pure
quest’ultimo non avrebbe potuto dirmi nulla.
La risposta mi
lasciò alquanto perplesso. Mi meravigliavo, non essendo
avvezzo alle cose di giustizia, che un cittadino potesse essere
indagato, per mesi, (e quindi anche passibile di intercettazioni
telefoniche e ambientali) senza avere la più pallida idea dei
motivi delle indagini e senza nemmeno avere la possibilità di
un immediato contraddittorio con l’accusatore.
Mentre facevo
queste riflessioni, tra me e me, probabilmente mi è sfuggito
un sorriso di incredulità, perché il Commissario,
cambiando repentinamente il tono della voce, improvvisò, per
il sottoscritto ignaro Presidente del Comitato Insieme per la
giustizia, un’estemporanea lezione di procedura penale
(essendo passato parecchio tempo non ricordo le parole esatte, ma
solamente il senso delle stesse). «Non potete venire qui a
prendevi gioco della Legge!! Le leggi bisogna conoscerle!!» E
aggiunse: «È impensabile che un presunto mafioso (chiarì
che però non si trattava del mio caso), ricevendo
l’informazione di garanzia, possa conoscere a priori
l’andamento delle indagini che lo riguardano, semplicemente
recandosi nell’ufficio dei Magistrati inquirenti».
L’esempio
non faceva una grinza.
«Allora», commentai a voce
alta, «dovrò attendere l’udienza di conciliazione,
per sapere di cosa sono accusato». Il Commissario Di Zinno,
completando la lezione, aggiunse: «Le dirò di più:
lei potrebbe non venire a sapere niente neanche in quell’occasione,
ma solo a indagini concluse da parte del G.I.P.! Solo allora avrà
il diritto di prendere visione degli incartamenti che la riguardano
ed anche di estrarne copia».
Messaggio recepito. Non valeva
la pena di replicare. Non avevo alcuna intenzione di trovarmi, di
punto in bianco, indagato anche del reato di oltraggio a Pubblico
Ufficiale. Un cittadino può quindi essere chiamato a esperire
un tentativo di conciliazione per un procedimento penale a suo
carico, senza sapere, nemmeno durante il tentativo medesimo, che cosa
deve conciliare.
Certo, se sull’informazione di garanzia
fosse stata indicata la data esatta del fatto (aprile 2001) invece di
quella della querela (22 giugno 2001), quantomeno, non avrei avuto
dubbi che l’asserito reato altro non era che l’appello a
firma congiunta mia e di Vanna «Basta
persecuzioni alla famiglia Gianoncelli!!!»,
pubblicato su‘l Gazetin di aprile 2001.
Non faccio
commenti, perché anche questi potrebbero essere “penalmente
rilevanti” e lascio a voi trarre le conclusioni. Continuando di
questo passo, Vanna ed io finiremo per essere insigniti di un premio
speciale istituito dalla Presidenza del Consiglio, per sintonie con
il Ministro della Giustizia nel modo di intendere i rapporti con la
Magistratura. Questo, credeteci, non è affatto nelle nostre
intenzioni. Ogni ruolo merita stima e rispetto. Non per questo il
cittadino si deve sentire in condizione di eterna sudditanza.
Vorremmo, con le nostre associazioni, e per questo continueremo a
lottare, fungere da stimolo per favorire il ritorno di un clima di
fiducia tra il cittadino e le istituzioni.
È però
essenziale che anche coloro che amministrano la Giustizia, proprio in
virtù del nobile spirito che li indusse a scegliere questa non
facile professione, assumano atteggiamenti che infondano fiducia al
cittadino qualunque, sia nel caso in cui lo stesso debba difendersi
da ingiuste accuse, sia nel caso in cui chieda di avere giustizia per
soprusi subiti. Insomma, una giustizia giusta, con meno soggezione e
più solidarietà!
(da 'l Gazetin, MAGGIO 2002)
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