caso Fallimento GIANONCELLI



CASO GIANONCELLI. TUTTA L’AMAREZZA DI FRANCO PER GLI ULTIMI EVENTI
«Al fallimento il suo momento di gloria,
a me le lacrime per piangere»

I ricorsi respinti dalla Cassazione e l’impugnazione del testamento per contestare il lascito di usufrutto della nonna

Alla Redazione del Gazetin,

per molti anni ‘l Gazetin ha narrato le amare vicissitudini della mia famiglia. In questo numero voglio dare sfogo personalmente a tutta l’amarezza che provo in merito agli ultimi due eventi.

 

Evento n. 1. Il rigetto dei ricorsi da parte della Cassazione

Attraverso la lettura del settimanale Centro valle di sabato 13 dicembre 2003 ho appreso che i ricorsi da me presentati avanti la Corte di Cassazione sono stati rigettati . È stato un fulmine a cielo sereno. Il testo di tutte e tre le sentenze è stato messo in circolazione ancora prima che io, unica parte costituita, venissi messo al corrente dell’avvenuto deposito delle medesime. L’unica informazione che avevo, fino a quel momento, era che i ricorsi sarebbero stati discussi il 6 maggio 2003. Non che ora sappia molto di più, in quanto il 29 dicembre 2003 ho ricevuto il dispositivo di rigetto, limitatamente però a un solo ricorso.

L’aspetto umano della vicenda è stato parcheggiato nelle retrovie, cosa questa non da poco dal momento che il mio cuore, funzionante con l’aiuto di un pace maker, è stato messo per l’ennesima volta a dura prova. La comunicazione alla stampa prima che io fossi stato messo al corrente dell’avvenuto deposito delle sentenze, se analizzata nel contesto pensioni, crediti d’imposta, prelevamento coattivo dal conto corrente di mia figlia Patrizia, assume connotazioni inquietanti. Chissà, forse qualcuno voleva proprio che venissi a conoscenza della notizia in quel modo…

Ora che ho percorso tutto l’iter giuridico previsto dal nostro ordinamento potrò ricorrere alla Corte Europea di Strasburgo. Lo farò senz’altro, in quanto la Carta europea per i diritti dell’uomo mette sullo stesso piano i cittadini di serie A e quelli di serie B (i falliti).

A prescindere da quelle che saranno le motivazioni delle sentenze, che mi riservo di commentare appena avrò potuto leggerle, mi rifiuto di credere che in Italia, patria del diritto, possa essere sancito un principio quale: “i debiti di imposta al fallito, i crediti di imposta al fallimento”. Tanto vale non presentare più la dichiarazione dei redditi. Mi rifiuto pure di credere che gli adeguamenti Istat sulle pensioni posti in essere per mantenere inalterato il potere di acquisto debbano essere versati al fallimento, in quanto esuberanti rispetto a quanto stabilito dal giudice delegato. A rendere più assurda la vicenda c’è il fatto che sono state trattenute a me e a mio fratello Peppino anche le imposte sulle somme introitate direttamente dal fallimento, ovvero su somme che non abbiamo percepito, ma che l’INPS ha comunque certificato in capo a noi.

Le sentenze favorevoli al fallimento non rendono certo meno gravi gli eventi di questa intricata vicenda. Resta il dramma di mio fratello Peppino, ricoverato in ospedale pochi giorni dopo l’avvenuta diagnosi del giudice delegato dott. Fabrizio Fanfarillo («I falliti hanno dimostrato di essere ammalati ma non in forma grave») e deceduto dopo otto mesi di sofferenze atroci. Restano i disagi economici che Peppino ha dovuto affrontare in quel periodo buio (per circa un anno e mezzo dalla dichiarazione di fallimento non ha percepito alcun reddito e successivamente ha dovuto fronteggiare le avversità, compreso il lungo periodo di ricovero in un ospedale di Milano, con una pensione di circa L. 1.181.000 mensili). Resta il fatto che la pensione (comprensiva di eventuali crediti di imposta chiesti con il Mod. 730) non è stata minimamente decurtata a Bruno Gianoncelli (adeguamenti Istat e bonus fiscale compresi). Brucia maledettamente la ferita relativa al prosciugamento di tutti i risparmi dal conto corrente di mia figlia Patrizia (il frutto di otto mesi di lavoro dopo otto anni di disoccupazione) da parte dell’Istituto bancario San Paolo Imi, con contestuale versamento nelle casse del fallimento (per recupero appunto dei crediti di imposta) della somma di L. 10.000.000 (di cui L. 7.000.000 mandando in rosso il conto corrente di mia figlia).

Dal lato pratico, il rigetto dei ricorsi non ha cambiato sostanzialmente le cose. Per il fallimento è stato sancito il diritto a trattenere le somme (di cui all’epoca avrei avuto estremo bisogno) a me decurtate dal mese di ottobre 2000, fino al momento in cui ho potuto percepire di nuovo l’intera pensione. Al fallimento resta pure l’adeguamento Istat mensile (L. 20.000 circa) della pensione di mio fratello Peppino dal mese di gennaio 2001 al mese di agosto 2001 (data del decesso), ovvero L. 160.000, da ripartire tra tutti i creditori (i quali esprimeranno senz’altro la loro gratitudine per il successo conseguito). Inoltre, per un incidente di percorso, il fallimento ha potuto beneficiare dell’ultima pensione di mio fratello (morto il 14 agosto 2001, prima che le procedure previste per l’erogazione – INPS/Banca Popolare di Sondrio/curatore del fallimento – giungessero a termine).

Onore al merito… A ciascuno il suo: al fallimento il suo momento di gloria, a me le lacrime per piangere.

 

Evento n. 2. La causa di rivendicazione del diritto di usufrutto di Lina Moretti

Mia mamma, Lina Moretti, aveva commesso un errore madornale, di cui purtroppo si è resa conto solamente negli ultimi anni della propria vita. Aveva rinunciato, a vantaggio dei figli, alla eredità del marito e aveva donato ai medesimi i beni di sua proprietà (50% del patrimonio) mantenendo, su questi ultimi, per sé l’usufrutto. Il suo sacrificio è stato vano, in quanto il figlio Bruno tanto ha fatto e tanto ha detto, che è riuscito nel proprio intento (ampiamente annunciato) di far fallire la Società e i propri fratelli Franco e Peppino (poi è fallito anche lui, ma questa è un’altra storia), con la conseguenza che il patrimonio immobiliare di famiglia è andato al fallimento. Al fallimento sono pure andate somme (circa L. 138 milioni oltre interessi) che, stando al contenuto di una sentenza pronunciata dal giudice dott. Pietro Paci, sarebbero appartenute a nostro padre deceduto nel 1981, amministrate a custodia (all’insaputa di noi fratelli) da mia sorella Bianca e dal di lei marito.

Mia mamma aveva fatto affidamento su quei risparmi (che riteneva di propria competenza, tanto che pende, per questo, un giudizio in Corte d’Appello) e contava pure di percepire i canoni di locazione degli immobili per la parte relativa al proprio usufrutto. Entrambe le opportunità (che Le avrebbero consentito di vivere senza problemi) sono sfumate. A quel punto, cercando di salvare il salvabile, ha nominato propri eredi universali i nipoti Giorgio, Patrizia, Marinella e Diletto, che da anni Le prodigavano ogni genere di cura e di assistenza, lasciando agli stessi l’usufrutto (come consentito dal Codice Civile nei confronti dei primi chiamati all’eredità).

Il fallimento ha impugnato il testamento contestando il lascito di usufrutto. La cosa era prevedibile. Quello che invece non era prevedibile è il modo con cui lo ha fatto. Con un atto di citazione agghiacciante, il fallimento, da un lato, “campa pretese” sull’appartamento di proprietà di mio nipote Giorgio, che nulla ha a che vedere con i beni immobili acquisiti alla massa, mentre dall’altro “ammonisce” i miei nipoti a non difendere in giudizio i propri diritti, pena la condanna al risarcimento dei danni per lite temeraria.

Ma non è finita. La causa è stata assegnata al giudice dott. Fabrizio Fanfarillo, ovvero al giudice delegato al fallimento, ovvero allo stesso giudice che ha autorizzato il curatore a promuovere il giudizio (!!!).

Sondrio, 30 dicembre 2003

Franco Gianoncelli

***   ***

Signor Franco,

voglio risponderLe con una favola che mia nonna mi raccontava quando ero bambina.

«C’era una volta un contadino, molto povero, che viveva con il proprio figlio in un’umile casa con davanti un piccolo campo. Un giorno, mentre vangava, rinvenne nel campo un mortaio d’oro.

– Voglio fare omaggio al re di questo mortaio – disse al figlio.

– Non lo fare padre. Con il ricavato dalla vendita del mortaio potremmo acquistare di che sfamarci per molto tempo.

Il padre non volle ascoltarlo “Il re mi sarà grato per il prezioso dono”, fantasticava mentre si avvicinava alla reggia, “non dovremmo più vivere nella miseria…”

– Che cosa vuole? – disse il ciambellano di corte appena vide il contadino.

– Vorrei donare al re questo mortaio d’oro che ho rinvenuto nel mio campo.

– Dov’è il pestello? – Chiese il re.

– Ho trovato solo il mortaio – rispose il contadino.

Il re buttò nel fiume il mortaio, dicendo: – Cosa me ne faccio di un mortaio senza pestello? Guardie, arrestate, questo bifolco che non vuole donarmi il pestello.

Il contadino venne chiuso in carcere, dove passò il resto dei propri giorni e suo figlio continuò a vivere nella miseria».

Bene avrebbe fatto (morale della favola) il contadino a tenere per sé il mortaio d’oro e a trarre i benefici che dalla vendita del medesimo avrebbero potuto derivare.

Ogni volta che penso a sua madre mi viene in mente questa favola. Ci sono tutti gli ingredienti. La signora Lina (il contadino), per il bene dei figli (il re), donò loro i propri beni immobili (il mortaio d’oro) e tenne per sé l’usufrutto (il pestello), nella speranza di avere assistenza in vecchiaia (non ottenne altro che amarezza). E ora il fallimento, subentrato ai figli, intende ottenere con ogni mezzo quell’usufrutto (il pestello che mancava) che la signora Lina ha lasciato per testamento ai nipoti (il re e il contadino sono cambiati, ma la storia è sempre la stessa). Ed ecco il risultato: l’atto di citazione da brivido (il carcere della favola).

Bene avrebbe fatto (morale della… realtà) la signora Lina Moretti a tenere per sé le proprie sostanze e a trarre i benefici che dalle medesime avrebbero potuto derivare.

Per restare in tema di eventi drammatici, le confesso che pure io sono rimasta sconvolta quando ho letto la notizia del rigetto dei ricorsi da parte della Cassazione. Francamente non me l’aspettavo. Ma, forse, anche per questo c’è una spiegazione. Aspettiamo di leggere le sentenze... Quanto alla drammaticità degli eventi non ci sono sentenze favorevoli al fallimento che possano cambiare il corso della storia.

Vanna Mottarelli

 

[DIDASCALIA DELL'ILLUSTRAZIONE (che viene omessa nella versione on line)]: Franco Gianoncelli

(da 'l Gazetin, GENNAIO 2004)



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