caso Fallimento GIANONCELLI |
"CASO GIANONCELLI"/1. UDIENZA PRELIMINARE IL 17
GENNAIO PER FRANCO
Un fragile castello
accusatorio
Dentro il quale l'unica a
restare prigioniera rischia di essere la verità
di VANNA MOTTARELLI*
Il giorno 17 gennaio 2002, ore
9:30, Franco Gianoncelli dovrà comparire davanti al
Giudice dell'Udienza Preliminare (GUP) per rispondere di talune
ipotesi di reati fallimentari. Franco, che si avvarrà
dell'assistenza legale dell'Avv. Franca Alessio del Foro di
Lecco, ha chiesto all’Osservatorio europeo sulla legalità,
a Italia dei Valori e all’Associazione Insieme per la
giustizia di assumere adeguate iniziative a suo sostegno e ha
fornito, al riguardo, la corposa documentazione inerente le indagini
esperite dalla Procura della Repubblica di Sondrio, conclusesi con la
non archiviazione nei suoi confronti (e nei confronti del defunto
Peppino Gianoncelli). Controversa, come verrà precisato più
avanti, è invece la posizione di Bruno Gianoncelli.
I
lettori che hanno seguito le vicende Gianoncelli ricorderanno che
Bruno è stato dichiarato fallito dal Tribunale di Sondrio con
sentenza 10 marzo 1999, a seguito di una sentenza "lapidaria"
pronunciata, in data 10 febbraio 1999, dalla Corte d'Appello di
Milano. Da un esame sommario del dossier emerge che, anche in
sede penale, Bruno è stato trattato con "un occhio di
riguardo" a partire dal certificato del Casellario, rilasciato
per tutti e tre i soci in data 30 giugno 1999. Mentre su quelli di
Franco e Peppino viene indicata la loro condizione di falliti,
sul certificato del Casellario di Bruno risulta nulla, sebbene
il di lui fallimento fosse stato dichiarato oltre tre mesi prima. La
Procura della Repubblica ha condotto le indagini senza acquisire né
la citata sentenza della Corte d'Appello, né la conseguente
sentenza 10 marzo 1999 del Tribunale di Sondrio.
Il risultato? In
data 26 aprile 2001, per Bruno Gianoncelli è stato emesso un
«provvedimento di stralcio con richiesta di archiviazione»
(fogli 402 e 403). La sentenza 10 febbraio 1999, con la quale la
Corte d'Appello di Milano mandava gli atti al Tribunale di Sondrio
per l'estensione del fallimento al terzo socio, è stata
depositata dal legale di Franco e Peppino, a seguito della avvenuta
notifica dell'avviso 15 maggio 200 (fogli 404, 405 e 406) di
conclusione, senza archiviazione, delle indagini preliminari. In
calce al dossier (foglio 884), allegata a un modello
denominato «registro atti non costituenti notizia di reato
(Mod. 45)» (foglio 882), è stata prodotta, quasi si
trattasse di un incidente di percorso, la sentenza 10/03/1999 con la
quale il Tribunale di Sondrio ha dichiarato il fallimento di Bruno
Gianoncelli.
L’Ufficiale di P.G., M.O Elvis Spagnolatti,
con nota in data 19/09/2001 (foglio 886), ribadendo che non
sussistono ipotesi di reato a carico di Bruno Gianoncelli, invitava
il P.M., dott.ssa Luisa Russo, a valutare la possibile
richiesta di archiviazione del fascicolo o la riunione dello stesso
con il procedimento penale 571/99, dal quale la posizione di Bruno
era stata preliminarmente stralciata. In data 11 ottobre 2001 il
Procuratore Generale della Repubblica, avocando a sé il
fascicolo, apponeva in calce al Mod. 45 (fg. 882) un timbro recante
la seguente dicitura: «Visto si dispone la riunione al
procedimento ex art.17 C.P.P. 571/99».
Per riunione
al procedimento non si intende forse che la posizione del fallito
Bruno Gianoncelli deve essere ricondotta al procedimento originario?
Se sì, per quale motivo la convocazione avanti il G.U.P.
riguarda solo Franco Gianoncelli (e avrebbe riguardato anche Peppino,
se non fosse deceduto), mentre la deposizione di Bruno viene inserita
tra le prove testimoniali? Sono domande inquietanti che si pongono
tutti coloro che sono vicini a Franco e che hanno sofferto con lui il
dramma di questo incredibile fallimento.
Franco viene
incomprensibilmente chiamato a rispondere del reato di non aver
chiesto il fallimento della Società, pur essendo noto - si
legge nei capi di imputazione - lo stato d’insolvenza dal 1997.
Come poteva essere nota a Franco tale circostanza se fu proprio il
Tribunale di Sondrio, con sentenza in data 5 giugno 1997, a negare lo
stato di insolvenza della Società, rigettando l’istanza
di fallimento presentata da Bruno Gianoncelli? Questi, dopo aver
presentato istanza di fallimento, si dichiarò disposto a
ritirarla a condizione che i fratelli accettassero di dare gli
immobili da vendere "chiavi in mano" a un plenipotenziario.
Franco e Peppino, nell’interesse dei creditori, preferirono
assoggettarsi al giudizio del Tribunale fallimentare piuttosto che
cedere alle sue pressioni. Che cosa avrebbe dovuto fare Franco per
non commettere reato? Impugnare la sentenza con la quale veniva
rigettato il fallimento della Società? Presentare un’istanza
di fallimento nei giorni successivi? Il periodo sospetto, ai sensi
della Legge Fallimentare, è di un anno. Il fallimento venne
dichiarato dopo solo sei mesi, nonostante la situazione al 3 dicembre
1997 fosse migliorata rispetto al 5 giugno 1997.
Un’altra
accusa che fa acqua da tutte le parti è quella inerente la
distrazione della somma di lire 195.755.461 risultante dal saldo
(contabile) del conto cassa. È noto a tutti che un elevato
saldo di cassa risultante dalle scritture contabili, in presenza di
ricavi regolarmente fatturati, presuppone pagamenti in nero, così
come è noto che i pagamenti in nero sono sinonimo di cassa
inesistente. E, in effetti, i pagamenti in nero, effettuati negli
anni 1992 e 1993, rispettivamente per lire 96.895.471 e lire
121.966.281 vennero accertati dalla Guardia di Finanza a seguito di
denuncia del conto nero della società, effettuata nel 1997
(guarda caso) da Bruno Gianoncelli. Non venne invece accertata
evasione di ricavi, tanto che il relativo procedimento penale
(1/1999) venne archiviato con Decreto del GIP in data 05/07/1999
(foglio 870). Il saldo contabile alla data del fallimento è
inferiore all’importo dei pagamenti in nero accertati dalla
Guardia di Finanza. In altri termini se i pagamenti in nero fossero
stati registrati in contabilità (provocatoriamente, per
gli addetti ai lavori, con la scrittura: "Pagamenti in nero a
Cassa"), la cassa contabile avrebbe recato saldo zero e nessuna
accusa di "distrazione" avrebbe potuto essere
formulata.
Nella mia deposizione avevo precisato e documentato che
nel 1993 sia il collegio arbitrale che l’allora consulente
della società (Rag. Giuseppe Zambon) avevano accertato che il
saldo di cassa risultante dalle scritture contabili (Lit.
181.691.000) era inesistente. Circostanza questa più che
logica dal momento che l'elevato indebitamento bancario (produttore
di interessi in ragione geometrica) della Società Gianoncelli
non si conciliava affatto con l'esistenza di denaro in cassa.
Il
Procuratore Generale della Repubblica, con nota in data 9 agosto
2001, invitava la Guardia di Fiananza ad assumere informazioni dal
curatore in ordine alla mia deposizione, in particolare per quanto
riguardava l’affermazione (supportata da documentazione!, nda)
che la cassa di lire 181.691.000 al 31 dicembre 1993 effettivamente
non c’era. Il dottor Marco Cottica, reiterando le accuse
nei confronti di Franco e Peppino, affermava che avevo effettuato
«argomentazioni prive di pregio». Ammesso e non
concesso che le mie "argomentazioni" siano "prive di
pregio", non altrettanto "privi di pregio"
saranno gli accertamenti della Guardia di Finanza in ordine ai
pagamenti in nero: prove documentali, queste, inconfutabili, idonee,
di per sé, a scagionare un innocente dall’infondata
accusa di distrazione della cassa. Si legge, ad esempio, al foglio 24
del p.v. di constatazione (foglio 774 del dossier): «Da
quanto sopra ne consegue che la società ha acquistato
nell’anno 1993 beni oggetto dell’attività
d’impresa per complessive lire 121.966.281 (…) senza
fattura». Analogo discorso vale per il 1992 per lire
96.895.471 (fg. 655).
Per ragioni di spazio mi sono limitata al
commento dei due punti eclatanti sopra esposti, sebbene vi sarebbe
molto da dire anche in ordine agli altri capi di imputazione:
pagamenti definiti preferenziali (effettuati per garantire il
rispetto del contratto di somministrazione con l'A.S.L.); pagamenti
compensi di amministratore a Franco e Peppino (denuncia effettuata
dal Curatore solo nel 2000 a seguito della vicenda dei crediti
d’imposta e riguardante anche il periodo ante 5 giugno 1997,
per il quale la sentenza del Tribunale di Sondrio aveva decretato
l’inesistenza dello stato di insolvenza); mancato rispetto
dell’ordinanza di versamento dei crediti d’imposta
(incassati regolarmente a mezzo INPS per effetto della presentazione
del mod. 730/2000 e versati al fallimento dall’Istituto
bancario SanPaolo Imi, mediante prelievo coattivo dal conto di
Patrizia - si veda il servizio
che segue, ndr).
Gli organismi che
rappresento e l’Associazione Insieme per la giustizia
hanno il dovere morale di non indugiare oltre nell’accertamento
della verità, anche per rendere onore alla memoria di Peppino
Gianoncelli. Lancio un appello affinché giovedì
17 gennaio 2002 vi sia una folta partecipazione di pubblico ad
assistere all'udienza, per dimostrare solidarietà a Franco
Gianoncelli. Il calore umano e l’amicizia delle molte persone
che gli vogliono bene rendono più sopportabile l’amaro
calice che continuamente è costretto a ingoiare.
* Responsabile provinciale dell'Osservatorio europeo sulla legalità e del movimento politico Italia dei Valori.
[DIDASCALIA DI UNA DELLE DUE ILLUSTRAZIONI (che vengono
omesse nella versione on line)]:
Franco Gianoncelli (al
centro della foto) durante uno dei sit-in davanti al Tribunale di
Sondrio dei mesi scorsi
(da 'l Gazetin, GENNAIO 2002)
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