CASO CODAZZI. A CARTE FINALMENTE SCOPERTE
Una sentenza veramente grottesca
Che Codazzi ha deciso di impugnare... al posto della clava

di ENEA SANSI

   Veramente grottesca la sentenza (N. 104) pronunziata e pubblicata dal Tribunale di Sondrio (Presidente est. Fabio GIORGI, Giudici Fabrizio FANFARILLO e Alberto GEROSA) il 10 giugno scorso, che infligge una condanna per "calunnia" al nostro Luciano CODAZZI!
   Il diritto a esprimere liberamente la propria opinione garantito dalla Costituzione, che include la libertà di commentare l'operato dei Giudici, non può in questo caso non spingersi fino al limite estremo della critica, anche feroce, e mi porta infatti a condividere l'amara constatazione, che fino al 9 giugno mi ostinavo a considerare eccessiva (fatta eccezione per il piano politico, dove l'evidenza aveva superato ormai da tempo ogni riserva), di trovarci in piena «legge della giungla». Constatazione che proprio Codazzi faceva pubblicamente, il mese scorso, su queste stesse pagine.
   I capricciosi giudici, infatti, devono aver preso sul serio il Codazzi che invocava la «clava di Tarzan» e (a scopo punitivo? "Così impara a mettere in piazza tutte quelle sporche storie, anziché subire tacendo!") hanno deciso di brandirla preventivamente - senza timore alcuno del ridicolo, data la funzione rivestita, che dovrebbe indurli per lo meno a fingere di dare credito a una parvenza di legalità - con il malcelato intento di trasformare d'un colpo la "vittima" in un biasimevole "calunniatore"...
   Eh sì, caro lettore, non ti sembri eccessivo quanto vado dicendo, perché scrivere, come hanno fatto i Giudici di Sondrio nella motivazione della sentenza del 10 giugno 1997, che Luciano Codazzi è stato fermato dai Carabinieri di Novate Mezzola il 18 maggio 1990 perché «è risultato in quella occasione in stato di ebbrezza alcoolica» quando una sentenza, passata in giudicato, esclude tale circostanza supera, oserei dire, il grottesco per raggiungere il mostruoso. Se l'avesse scritto un giornale, sarebbe stata immediata diffamazione, con conseguente diritto al risarcimento, ma siccome lo afferma «in nome del popolo italiano» una Corte giudicante dovrebbe, oltre che essere consentito, addirittura supportare una condanna? Perché - fuor di dubbio - tolto quel presupposto l'intero impianto accusatorio, compreso l'esito finale, casca come un castello di sabbia.
   Per questa sola ragione, se già non ve ne fossero di altre ben più gravi e importanti, la sentenza meritava di essere impugnata innanzi alla Corte d'Appello di Milano, come Codazzi ha prontamente deciso di fare, dando ampio mandato all'Avv. Franca ALESSIO del foro di Lecco.
   Ma che si può dire, ancora, dell'oggetto stesso della calunnia? Il capo d'imputazione si riferisce a 4 milioni di lire in contanti che sarebbero stati sul furgone al momento del "fermo" e poi scomparsi. Accusa certamente infamante (per chiunque, ma soprattutto per dei... Carabinieri) e, se infondata, certamente qualificabile come calunnia. E allora? Perché scaldarsi tanto?
   A parte il fatto che il comportamento sopra riportato dei Giudici non sarebbe stato per questo meno censurabile, il fatto è che non risulta (e men che meno è stato provato nel procedimento) che Codazzi, in occasione delle pur numerose denunce fatte in innumerevoli sedi (fino a Strasburgo, come l'attento lettore ricorderà) delle angherie subite, abbia mai sostenuto ciò di cui è stato accusato (e condannato!). L'affermazione, dagli stessi atti del fascicolo, risulta fatta unicamente su carta intestata e a firma di un avvocato di Sondrio, Giuseppe ROMUALDI, e ciò costituirebbe - come afferma Codazzi - «uno dei tanti raggiri di cui sono stato fatto vittima, nel tentativo di coprire responsabilità di altri».
   So bene che più d'un lettore, a questo punto, aggrotterà le ciglia com'è capitato a me, più volte, sentendo le storie e studiando la documentazione del "Caso Codazzi". E inoltre, molti altri particolari di questo strano procedimento che il 10 giugno è venuto allo scoperto meriterebbero altrettanto critici commenti. Ma, per tutti noi e per lo stesso Codazzi, vi sarà tempo e modo di capire e di spiegare in preparazione del processo d'appello, che non mancheremo, passo dopo passo, di seguire attentamente.

(da 'l Gazetin, LUGLIO-AGOSTO 1997)


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