caso Fallimento GIANONCELLI |
FALLIMENTOPOLI. LA STORIA DEI FRATELLI GIANONCELLI
DI SONDRIO
Il Terzo Socio
...E
gli illustri giuristi del Tribunale di Sondrio che, per fortuna, ci
tutelano dalle "irragionevolezze" della Corte Suprema di
Cassazione
di ENEA SANSI
Qualche settimana fa un caro e
illustre lettore di Bormio, chiedendomi alcune spiegazioni sul "Caso
Codazzi", poiché non ricordava esattamente i
passaggi illustrati in alcune puntate precedenti, e riferendosi al
molto tempo trascorso dall'epoca dei fatti da noi ricostruiti,
commentava con crescente amarezza ad ogni risposta che fornivo ai
suoi punti interrogativi. «E comunque», concludeva,
«adesso certamente non sarà più così...».
«Invece no», ho dovuto contraddirlo, «pare proprio
che presso il Tribunale di Sondrio le cose siano andate avanti e
continuino ancora nello stesso identico modo!» «Non ci
posso credere...» disse chiudendo la telefonata e salutandomi.
E posso immaginare che abbia riposto la cornetta scuotendo
pensierosamente il capo.
Anche da altri ho sentito fare
considerazioni più o meno di questo tipo, relegando in un non
ben identificato passato il tutto e in questo modo rifiutando di
porsi di fronte, con tutta la gravità del caso, al presente.
Eppure, proprio nei mesi in cui andavamo svolgendo l'inchiesta
partita dall'inquietante interrogativo: "Sondrio, c'è del
marcio in quel Tribunale?", lasciando la parola a Luciano
Codazzi, piuttosto che seguendo gli sviluppi giudiziari delle
allarmanti denunce di Giovanni Grignano, in quegli stessi mesi si
compivano fatti analoghi ad opera di quello stesso circolo di persone
fatto di magistrati, curatori, avvocati... nel chiuso di quelle
stesse aule dove, al posto della scritta riportante il principio sul
quale dovrebbe basarsi ogni attività in quel luogo ("La
legge è uguale per tutti"), campeggiano vistosi
crocifissi. E poveri cristi, martoriati e sofferenti, finiscono per
davvero i malcapitati in quell'ingranaggio!
È il caso della storia
del fallimento della Società Gianoncelli Snc di Sondrio. La
storia di tre fratelli - Bruno, Franco e Peppino Gianoncelli
- che ereditano e sviluppano un'impresa commerciale nel settore
alimentare, costruita dal padre in una vita di lavoro. L'azienda ha
un discreto giro d'affari: svolge attività di commercio
all'ingrosso, con forniture e appalti di un certo rilievo, e al
dettaglio. I tre fratelli-soci vi concorrono senza risparmio di
energie, coadiuvati da alcuni dipendenti. I tre sono anche
comproprietari di un immobile valutato intorno a un miliardo e
duecento milioni. Con gli alti e bassi e con le difficoltà
tipiche del settore ortofrutticolo, non si può comunque dire
che l'azienda abbia particolari problemi: un livello d'indebitamento
nella media delle imprese di quelle dimensioni, contratti e garanzie
reali a fronte dei finanziamenti di due banche locali (il Credito
Valtellinese e la Popolare di Sondrio). Insomma, nulla di
preoccupante, mentre il lavoro e, in fondo, la vita dei tre fratelli
sono legati a quel patrimonio comune.
All'inizio del 1993 uno dei
fratelli, Bruno, manifesta l'intenzione di ritirarsi dalla società,
che comincia ad avere delle perdite. Gli altre due sono un po'
sorpresi, ma di fronte alla determinazione non possono ovviamente che
mettersi a discutere per valutare il da farsi. Date le diverse
complicazioni, si decide per un arbitrato che viene affidato a tre
commercialisti (Mottarelli, Tarabini e Vitali) e che però,
dopo svariati tentativi e valutate le diverse proposte, non riesce a
concludersi con un lodo. Bruno Gianoncelli avrebbe voluto ritirare la
propria quota della comune proprietà immobiliare, senza
immettere la liquidità corrispondente alla propria quota di
partecipazione nella società, di cui era socio illimitatamente
responsabile al pari dei fratelli.
Nel gennaio 1997, producendo a
supporto i decreti ingiuntivi del Credito Valtellinese e della Banca
Popolare di Sondrio, emessi ovviamente anche a suo carico, Bruno
Gianoncelli presenta la richiesta per la dichiarazione di fallimento
"della s.n.c. Gianoncelli Franco e Peppino e dei soci
Gianoncelli Franco e Gianoncelli Peppino". Nell'ambito delle
pratiche per la costituzione in giudizio salta fuori che, con atto
notarile registrato e depositato alla Camera di Commercio già
nel mese di luglio 1996, Bruno Gianoncelli era unilateralmente
receduto dalla società all'insaputa dei fratelli. Mentre si è
in attesa dell'udienza, l'avv. Giancarlo Giugni
(legale del Bruno) propone il ritiro dell'istanza di fallimento a
condizione che la comune proprietà immobiliare venisse
affidata a una sorta di "plenipotenziario" (e fa anche il
nome di una persona molto esperta in vendita di immobili: il dott.
Corrado Cottica) per la vendita e per tutto quanto il resto.
Franco e Peppino si rendono conto che accettare le condizioni del
fratello li avrebbe messi nell'impossibilità di far fronte
alla situazione e rilanciare l'impresa: "per tanto così",
devono aver pensato a malincuore, "visto che siamo stati tirati
in causa, tanto vale affidarsi al Tribunale".
L'udienza si
tiene il 5 giugno 1997: alla discussione viene riformulata la
proposta di un plenipotenziario (questa volta con una rosa di nomi) e
annessa disponibilità a ritirare l'istanza, che viene
nuovamente respinta. Bruno presenta altresì un decreto
ingiuntivo di Alberto Miotti, dipendente della ditta
dal 1973 al 1996, per il trattamento di fine rapporto (pari a 30
milioni) che - com'è di tutta evidenza - era stato interamente
maturato in periodo in cui anche il richiedente era socio. Il sig.
Miotti, come spiegano bonariamente Franco e Peppino, aveva sempre
mantenuto ottimi rapporti, ma probabilmente era stato allarmato dal
fratello Bruno e pertanto, legittimamente, aveva inteso tutelare i
propri interessi. La sezione fallimentare del Tribunale, composta dai
giudici Pietro Paci (presidente relatore), Fabio
Giorgi e Fabrizio Fanfarillo, rigetta
l'istanza in quanto «appare evidente la mancanza di uno stato
d'insolvenza» della Società. C'è da dire che il
Tribunale, nel formulare il giudizio, aveva usato un certa
superficialità (valutata la sola situazione economica,
peraltro in perdita, e non quella patrimoniale, per di più
riferita all'anno 1995 anziché quella più vicina del
1996).
Successivamente, e sempre a fronte di fatture emesse prima
del recesso unilaterale del socio Bruno Gianoncelli, altri due
creditori presentano nuove istanze di fallimento: in data 2.9.1997 la
Centrale Ortofrutticola Sas di Milano, che allega nuovamente
l'esecuzione (del 24.4.1997) dell'ex dipendente Miotti benché
quel debito fosse nel frattempo stato integralmente pagato (comprese
le relative spese legali), e in data 9.10.1997 la Società
Longa & C. Srl, sempre di Milano. Si noti in proposito che le
procedure esecutive di questi creditori erano già state poste
in essere prima del rigetto della precedente istanza.
E qui giungiamo al "misfatto":
la sezione fallimentare del Tribunale, composta da Francesco
Saverio Cerracchio (presidente), Fabio Giorgi e Fabrizio
Fanfarillo, con sentenza 4 dicembre 1997, senza alcuna ulteriore
indagine rispetto alla precedente istruttoria (basata come abbiamo
visto sul bilancio 1995!), dichiara il fallimento della Società
Gianoncelli Snc e dei soci illimitatamente responsabili Franco e
Peppino Gianoncelli, mentre non dichiara il fallimento del socio
receduto Bruno Gianoncelli in quanto, secondo la motivazione del
collegio giudicante, i crediti azionati sarebbero divenuti definitivi
solo successivamente al recesso. Giudice delegato viene nominato il
dott. F. Fanfarillo e Curatore il dott. Marco Cottica (figlio
del già conosciuto Corrado).
In base alla Legge
Fallimentare (art. 147, 2° comma), il Tribunale avrebbe dovuto
dichiarare, d'ufficio o su istanza del Curatore, anche il fallimento
del socio illimitatamente responsabile fino al 31.7.1996 (data del
deposito del recesso alla Camera di Commercio) Bruno Gianoncelli. E
parimenti, ai sensi dell'articolo 2290 del Codice Civile, questi era
tenuto solidamente e illimitatamente al ripiano delle obbligazioni
sociali sorte fino al giorno del recesso. Così, invece, non si
è operato: tutte le obbligazioni sociali, comprese quelle
sorte prima del recesso, sono state integralmente ammesse al passivo
della società e in capo al patrimonio personale dei due soli
soci dichiarati falliti(!!); il Giudice delegato al fallimento ha
rigettato l'istanza intesa ad ottenere il sequestro conservativo dei
beni del Terzo Socio.
Giustamente un paio di creditori (fra cui
anche il Credito Valtellinese, ma non la BPS), sentendosi in pericolo
per la situazione venutasi a creare (un terzo del patrimonio di fatto
della società - consistente in immobili indivisi di proprietà
di tutti e tre i fratelli - veniva infatti ad essere sottratto
all'esecuzione forzosa, mentre i debiti erano stati contratti dai tre
soci solidamente e illimitatamente responsabili fino al 31.7.1996),
presentano nuove istanze di fallimento affinché venga incluso
anche il socio tanto misteriosamente protetto.
E qui arriviamo alla "perla giuridica": il Tribunale fallimentare, composto dai Giudici Pietro Paci (presidente), Fabio Giorgi e Fabrizio Fanfarillo (relatore), con decreto 28 ottobre 1998 respinge le istanze di estensione del fallimento, confutando esplicitamente il consolidato orientamento giurisprudenziale (della Cassazione, non di questa o quella Corte d'Appello Civile!), che condurrebbe a «conclusioni irragionevoli» (sic!). Il Tribunale, a giustificazione, adduce la mancata impugnativa da parte di alcun creditore al decreto di rigetto della prima istanza (5.6.1997), che dimostrerebbe «l'insussistenza della decozione della società antecedentemente al 26.7.1996» (!? - la preordinata e calcolata macchinazione diventa qualcosa di più di un dubbio), e il fatto che i debiti non erano ancora definitivi alla data del recesso (attenti cittadini e imprese: qualsiasi vostro credito, ancorché supportato da decreto ingiuntivo, non vale niente senza un pignoramento!). Eccovi uno stralcio dal "ragionamento" dei nostri Illustrissimi: «la mera esistenza al momento della dichiarazione di fallimento della società di obbligazioni contratte antecedentemente al recesso di Gianoncelli Bruno, fonte peraltro di un attivo consistente, non costituisce circostanza sufficiente per la declaratoria di estensione del fallimento al socio receduto» (l'evidenziazione è mia, Nda).
Allora, cerchiamo di capire. Nel
giugno 1997 il Tribunale valuta la situazione della
Società: prende in esame il solo risultato economico al
31.12.1995 (semplicemente correlando i ricavi, per circa 1 miliardo e
200 milioni, alla perdita di 190 milioni), senza alcuna valutazione
del patrimonio, e dichiara la mancanza di uno stato di
insolvenza. Se avesse esaminato la situazione patrimoniale
avrebbe, ad esempio, rilevato che le perdite degli esercizi
precedenti, formatesi a partire dal 1991, ammontavano a circa 607
milioni che, sommate a quella del 1995, determinavano al 31.12.1995
perdite complessive per 797 milioni, alla cui formazione aveva
partecipato ovviamente anche il socio Bruno Gianoncelli (4 milioni
perdita 1991, 126 perdita 1992, 238 perdita 1993, 239 perdita 1994 e
190 perdita 1995), e al quale importo doveva correttamente essere
aggiunta pro quota la perdita 1996 fino al giorno del recesso.
Avrebbe poi ancora rilevato che non esistono sostanziali scostamenti,
sia nell'attivo che nel passivo, dal 31.12.1995 alla data del
fallimento. Altri elementi patrimoniali, infine, il Tribunale avrebbe
dovuto prendere in considerazione, tra cui i crediti della società
verso i soci (Terzo compreso), ma non è il caso di complicare
oltremodo l'esposizione con troppi numeri.
Nel dicembre
1997 il Tribunale è nuovamente chiamato ad esaminare
la condizione della Società: l'unica cosa che è
cambiata rispetto a sei mesi prima è l'allarmismo creato tra i
creditori dall'istanza di fallimento presentata da un socio, né
viene diversamente e più approfonditamente presa in
considerazione la situazione patrimoniale, e dichiara il
fallimento della Gianoncelli Snc e quello personale dei soci
Franco e Peppino.
Successivamente, respingendo l'istanza di
estensione al socio Bruno, il Tribunale fallimentare ritiene che le
obbligazioni sociali non fossero definitive prima del recesso del
terzo Socio. In realtà il creditore ha diritto al pagamento
delle somme di sua spettanza quando esiste un'obbligazione
giuridicamente rilevante (ad es. la fattura non contestata, lo
scoperto di conto corrente, il T.F.R., ecc.). Prova ne è,
restando al nostro caso, che tutti i debiti della società
Gianoncelli Snc, ivi compresi quelli già esistenti alla data
del 31.7.1996, sono stati ammessi al passivo fallimentare a
prescindere dall'esistenza o meno di decreti ingiuntivi, precetti o
pignoramenti. Infatti l'articolo 2290 del Codice Civile recita
testualmente: «nei casi in cui il rapporto sociale si
scioglie limitatamente a un socio (2284 2886) questi o i suoi eredi
sono responsabili verso i terzi per le obbligazioni sociali fino al
giorno in cui si verifica lo scioglimento». Ora, come
abbiamo visto, la liquidazione della quota del socio Bruno
Gianoncelli non è mai stata effettuata (anzi, è proprio
questo il punto che ha innescato la lite) e il recesso unilaterale
può valere soltanto come comunicazione ai terzi, ma il socio è
comunque tenuto a rispondere delle obbligazioni precedenti.
L'articolo 2289 del Codice Civile, che parla della liquidazione della
quota del socio uscente, al comma 2 stabilisce che detta liquidazione
«è fatta in base alla situazione patrimoniale della
società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento»
e, al comma successivo, stabilisce che il socio o i suoi eredi, nel
caso di operazioni in corso, partecipano agli utili o alle perdite.
Già...
[DIDASCALIA DELLE ILLUSTRAZIONI (che vengono omesse
nella versione on line)]:
1. Piero
Luigi Vigna, Procuratore nazionale antimafia, durante la sua
conferenza del 7 novembre alla Banca Popolare di Sondrio. Alla sua
sinistra il Presidente dell'istituto ospitante, Piero Melazzini, che
il giorno successivo accompagnerà l'illustre ospite in una
passeggiata al Palabione
2. Il
Presidente del Tribunale di Sondrio, Francesco Saverio Cerracchio,
mentre rivolge una domanda al Procuratore nazionale antimafia (BPS di
Sondrio, 7 novembre 1998)
(da 'l Gazetin, DICEMBRE 1998)
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