La priorità assoluta
del genocidio

«Davvero vivo in tempi bui» scrive Bertold Brecht nel 1938, alle soglie dell'esplosione del secondo conflitto mondiale. «Chi ride, la notizia atroce non l'ha saputa ancora. Quali tempi sono questi, quando discorrere d'alberi è quasi un delitto, perché su troppe stragi comporta silenzio». Eguale è il sentire in questi incredibili giorni. Nella ridda delle voci, nella confusione delle ragioni, ognuno si orienta come può e non è facile non essere semplicisti, non è facile non lasciarsi trascinare da parole d'ordine che danno almeno una parvenza di tranquillità: pacifismo, giustizia, diritto internazionale, Europa, Alleanza atlantica. Di qua e di là le coscienze si adagiano nel tepore della certezza che queste parole apparentemente esprimono. Ma, intendiamoci, una fronte distesa vuol dire insensibilità. Anche queste sono parole di Brecht, parole di sessant'anni fa, parole di prima della seconda guerra, di prima che molti soldati italiani andassero a morire in Russia, di prima delle fucilazioni, di prima delle deportazioni, di prima delle fosse ardeatine, di prima di Auschwitz, di prima della coventrizzazione di Dresda. Dobbiamo riflettere. Prima di parteggiare dobbiamo lungamente riflettere, anzi, chi può, chi ne ha il tempo, chi ne ha il mandato, deve anche studiare, per tutti gli altri. Mi ha colpito una frase di Julia Kristeva su Le Monde di domenica 19 aprile 1999: «L'immagine dei Serbi che sfidano l'Occidente offrendosi quali capri espiatori al posto del loro dittatore è, accanto all'esodo massiccio dei Kosovari, l'enigma maggiore che tanto sconvolge l'opinione quanto infligge al cuore dell'Europa una divisione che non si cicatrizzerà tanto presto». Sì, anch'io sono colpito dal comportamento dei giovani, degli uomini e delle donne di Belgrado, anche per me è fortemente interrogativo quel loro gesto di sfida. Provo una forte simpatia nei loro confronti, anch'io, idealmente, mi espongo al fuoco per dire: "ebbene, ammazzateci tutti". Ma è proprio questo romanticismo a collocare il punto sul segmento tracciato dalla Kristeva in posizione assolutamente asimmetrica: vorreste voi condividere il lerciume di un campo profughi con gli esuli Kosovari? Vorreste condividere l'esperienza di vegliare per tre giorni i cadaveri di vostro marito, vostro padre e vostro fratello che i miliziani di Milosevic vi hanno sbattuto in casa morti? Vorreste seppellirli voi stessi scavando la fossa con le vostre nude mani? Vorreste non avere dove coricarvi, restare rannicchiati per giorni, sotto la pioggia, tirandovi un sudicio telo di plastica sulla testa, piangendo, pensando alla vostra casa ridotta a un cumulo di macerie, al vostro figlioletto perduto in una marcia di sette giorni in mezzo alle montagne, al vostro futuro ridotto a zero, cenere, fango, sterco? Eh no! Meglio pensarsi come un giovane serbo, sprezzante, coraggioso, ribelle, intelligente. Il punto sul segmento ai cui capi ci sono da un lato il porcile in cui Milosevic ha deciso di collocare la fine dei Kosovari e, dall'altro, l'eroica esposizione al rischio della gente di Serbia non sta nell'esatto mezzo, non c'è equidistanza tra i due eventi, lo dimostra proprio la nostra simpatia per una delle due situazioni e l'orrore per l'altra. Ecco, io propongo di adottare un semplice criterio di valutazione: ciò che più genera in noi fastidio, orrore, repulsione è anche ciò che è più orrido in sé, più odioso in sé, più ingiustificabile in sé. Da quella parte sta il prioritario. Anch'io penso che le bombe su Belgrado siano inutili e vili, anch'io sono infastidito dalla protervia americana, dall'idea del pianeta come grande spazio americano, anch'io sono atterrito dall'ignavia delle nazioni europee, anch'io mi sento respingere all'idea di mandare a morire giovani italiani in una guerra che certo non abbiamo voluto, anch'io sono contrariato da quest'azione di guerra che mette a repentaglio il nostro territorio nazionale, la nostra economia, ecc. Tuttavia, c'è un dato che va al di là, si tratta di una dismisura, c'è quella che vorrei definire una "priorità assoluta" rispetto alla quale ogni altra valutazione, ogni altro discorso, diventa un'inutile "discorrere d'alberi", quasi "un delitto", una forma di "insensibilità" preoccupante, c'è quello che si chiama e che non può essere nominato altrimenti se non come "genocidio", "sterminio" e c'è la derisione profonda del torturatore nei confronti della sua vittima. Ebbene, dinanzi a questo evento nessun romanticismo è concesso. Chi vuol partecipare si inginocchi e provi ad attendere il colpo. Altrimenti legga, studi, pensi, ma non si lasci distogliere dal prioritario. Il genocidio viene prima. Prima di tutto va fermato il genocidio. Il problema delle bombe è un grave problema, può darsi che «il mercoledì 24 marzo 1999 segnerà una data sinistra della nostra storia», ma più grave è il genocidio. Non è vero che il ristabilimento della pace nei Balcani possa per l'arresto immediato delle incursioni aeree. La pace nei Balcani non può che passare per l'arresto immediato del "genocidio", non già perché le bombe vanno bene, anzi, ci è noto il contrario! Capiamo che è vero il contrario! Ma perché niente, in realtà, viene prima del genocidio. Chi ammette che qualcosa, una qualsiasi cosa possa essere anteposta alla questione del genocidio è perché è già disposto, in cuor suo, a volgere la faccia dall'altra parte, come fecero gli occidentali in quei terribili anni in cui una parte di loro, forse una piccola parte, decise, contro ogni sentimento dell'umano, di cancellare dalla faccia del globo l'intera stirpe di Abramo.

Trovo fazioso e stupido non riconoscere che i bombardieri hanno accelerato il processo genocidiale, trovo superficiale e deprimente l'atteggiamento di coloro i quali hanno in dispregio la vita dei giovani, degli uomini e delle donne di Belgrado e vile il mantenersi al sicuro nelle proprie città e nelle proprie case e plaudire allo sgancio "chirurgico" delle bombe, grottesco, se non derisorio, voler restituire ai bambini del Kosovo, per i loro giochi futuri, dei prati radioattivi. Del resto trovo semplicemente spaventoso coprire con un velo impietoso la realtà pura e semplice del genocidio, giungere a sospettare le vittime di simulazione, pretendere la sospensione unilaterale dei bombardamenti senza pretendere al contempo nulla dagli sterminatori. Ma trovo infine semplicemente odiosa e umanamente insopportabile la pulizia etnica, la separazione di uomini e donne - come se ne volesse impedire la proliferazione; lo stupro, ovvero l'inseminazione razziale; l'espulsione - primo stadio dello sterminio; la distruzione metodica delle forme di certificazione legale dell'identità, della proprietà e della parentela, l'uso dei corpi degli uomini e delle donne kosovo-albanesi come scudi umani e, infine, l'uso del loro sangue come riserva di sangue per i loro aguzzini feriti.

Marco Baldino

[VEDI ANCHE Si chiama genocidio]