Si chiama genocidio
Ed è abbastanza tremendo per giustificare il tentativo di strappare le vittime dalle mani del carnefice

di MARCO BALDINO

"Trattare, trattare e trattare ancora", così le coscienze apparentemente più illuminate di questo paese dal cuore diviso. La guerra, del resto, è demonica - in genere divide e non unifica. Albanesi del Kosovo e serbi di Serbia, miliziani serbi del Kosovo e regolari di Milosevic, l'Adriatico che pullula di navi da guerra, i porti e gli aeroporti civili della Puglia chiusi, l'Italia trasformata in una grande piattaforma di lancio di azioni belliche. Immagino che gli uomini e le donne di Belgrado, i giovani di Belgrado, che la mattina si svegliano sotto le bombe dopo una notte passata sotto le bombe, non debbano amarci granché. C'è qualcosa di sbagliato in questi bombardamenti, lo so, qualcosa di debole che va messo a nudo. E poi c'è il diritto internazionale violato, la sovranità nazionale inviolabile, vecchi stalinisti che hanno approvato tutte, ma dico tutte le azioni repressive dell'ex Unione Sovietica che chiedono pace, tregua.

Tuttavia... tuttavia c'è qualcosa che va al di là di tutto ciò e che non viene detto con la necessaria fermezza, che non viene presentato con la necessaria chiarezza e che non viene nemmeno a sufficienza nominato con il nome che gli spetta, che gli si addice, che smaschera d'un colpo tutti i pacifismi e tutti i falsi interventismi che dividono l'Italia oggi. Si chiama genocidio. Ciò che le milizie serbe stanno attuando sotto i nostri occhi non è un semplice massacro, seppure di un massacro si possa pensare la semplicità, ma la pura cancellazione di un popolo intero. La divisione degli uomini dalle donne, gli eccidi tra la popolazione maschile, la distruzione attenta degli archivi che comprovano l'identità degli individui, i loro legami di parentela, i loro rapporti di proprietà con le terra, le case, le cose, gli affetti, persino il paesaggio, l'espulsione dal territorio delle donne, dei bimbi e dei vecchi non è un semplice "massacro", no, è di più, è il tentativo di spiantare un popolo dal suo suolo, scrollare le radici messe a nudo, bruciarne i filamenti, fare a pezzi quello che resta e spargerlo ai quattro venti. Questo è ciò che sta accadendo.

C'è una priorità assoluta che rende vacua ogni disquisizione e che attende di essere affrontata per quello che è e con la necessaria energia. Se c'è qualcosa di sbagliato nelle bombe della Nato, e c'è, è che queste non solo non impediscono il genocidio, ma addirittura lo favoriscono. Anche questo è un fatto che ormai viene riconosciuto abbastanza ampiamente. La debolezza di questi bombardamenti sta, a parer mio, nell'atto di colpire dall'alto la nazione serba e fuggire. C'è qualcosa di vile in questo atteggiamento e non credo che basti dire che non ci sono alternative. Se non c'è alternativa e le bombe non servono a fermare la ferocia in atto del genocidio a che servono allora? Né mi pare accettabile la posizione di coloro che invocano la trattativa ad ogni costo. No, non al costo del genocidio. È immorale, è contro tutto ciò che l'Occidente ha saputo e voluto ritessere in fatto di sentimento minimo della vita e dell'umanità dopo Auschwitz, no, l'espianto di un'intera etnia dal cuore d'Europa o sa ingenerare nelle coscienze un forte sentimento di repulsione, oppure niente vale più la pena di esser detto, scritto e pensato e tutto è di nuovo possibile. Se l'annientamento di un popolo inerme non è in grado, da solo, di scuotere alle fondamenta le coscienze degli occidentali, allora Auschwitz è accaduto invano.

In generale penso che il diritto internazionale sia una finzione e, sempre in generale, so che il diritto è una rappresentazione o uno strumento del potere e quindi rimango freddo per esempio dinanzi a questioni come quella dei tribunali mondiali per i crimini di guerra o contro l'umanità. Ma se gli attacchi aerei non servono, se la trattativa è illusoria, se il diritto è una giustificazione a posteriori della forza, allora cosa resta? Resta il coraggio altamente morale di un intervento di terra. Non la forza beffarda delle incursioni aeree, non il dispiegamento della superiorità tecnologica dell'Occidente, non questo salverà il Kosovo, ma la capacità di sentire che ciò che accade laggiù è abbastanza tremendo per giustificare almeno il tentativo di strappare le vittime dalle mani del carnefice. Occorre quella superiore capacità di mettersi in gioco che appartiene al disegno di un intervento di terra, occorre cioè andare con i propri corpi a difendere quei corpi minacciati e spersonalizzati, proprio questo ora penso. Solo un atto di grande coraggio, e quindi di esposizione al rischio, convincerà il dittatore genocidiale che l'Occidente non è disposto ad accettare che lui si balocchi con l'esistenza storica di un popolo e a convincere noi stessi che siamo ancora abbastanza umani da sentire come un compito quello di rifiutare con tutte le nostre forze il compiersi di un nuovo genocidio.

(da 'l Gazetin, APRILE 1999)

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