Graham Hancock, Il mistero del Sacro Graal, Piemme, 1995, pagg. 583, L. 45.000
Nell'attuale fioritura di narrativa e
saggistica avente come oggetto e/o cornice l'antico Egitto, condita
di immancabili e frequenti strizzatine d'occhio alle tematiche
ermetiche, occultistiche e misteriosofiche tanto di moda, il nome di
G. Hancock, giornalista e scrittore scozzese, è ormai noto
pure in Italia, assieme a quelli di J. A. West, A. Gilbert e R.
Bauval, grazie alle pubblicazioni della casa editrice Corbaccio. Non
avendo ancora adeguata conoscenza delle opere del filone "egiziano",
astrale ed iniziatico, di Hancock, preferisco non pronunciarmi per il
momento, anche se gli zodiaci che compaiono in Egitto migliaia d'anni
prima di Cristo li vede solo lui (il più antico zodiaco egizio
a noi noto, quello di Denderah, risale all'epoca dei Tolomei ed è
di chiara derivazione babilonese); anche se il titolo Impronte
degli dei fa venire in mente le incontrollate fantasie di E. von
Däniken, propenso a vedere extraterrestri in ogni graffito
preistorico; anche se l'elogio tessuto da Hancock di un testo
farneticante come Il segreto di Sirio di M. Hope è un
gran brutto segno.
Un libro di Hancock che
merita senz'altro la lettura è questo che presento. Il tema è
fascinoso e gode di una bibliografia ormai imponente (come sintesi e
ricognizione si può consultare Atlante del Graal di G.
Ferrari e M. Zatterin, ed. Il Minotauro), ed in questa la posizione
di Hancock, per nulla riconducibile alle consuete suggestioni
celtico-arturiane, si distingue per arditezza. Ma, aldilà
della comunque documentata tesi di fondo, che è quella
dell'identità tra il Graal e la biblica Arca dell'Alleanza, a
rendere interessante la decennale fatica dell'autore è lo
sviluppo di alcune tematiche storiche ed antropologiche riguardanti
l'Etiopia, un mondo remoto che non figura mai nei manuali di storia
medioevale ad uso degli studenti. E invece l'Etiopia, regno secondo
Hancock del leggendario Prete Gianni dei romanzi arturiani, avrebbe
svolto un ruolo di primo piano nella vicenda dei Templari, fin dalla
loro fondazione istituzionale ad opera di S. Bernardo, non solo, ma
avrebbe costituito punto di riferimento anche per le sette che ne
hanno raccolto l'eredità, come il portoghese Ordine di Cristo
e la Massoneria scozzese. Dalle molte pagine del libro emerge il
morboso, anche se ben dissimulato, interesse di queste conventicole
ultrasegrete per il lontano acrocoro abissino. Ma perché?
Perché, l'autore non nutre dubbi, l'Arca, scopo reale delle
ricerche dei Templari, referente autentico del Graal di Wolfram, che
era una pietra e non un calice, è finita laggiù.
Purtroppo lo spazio tiranno non permette di
dipanare ulteriormente l'intricata matassa di relazioni intessuta
dall'autore di questo libro «più intrigante del film»
(Guardian); comunque, aldilà della maggiore o minore
adesione alla tesi di fondo, il lettore troverà che le pagine
sull'arcaico ebraismo del falasha e sui sanguinosi conflitti
secolari tra le tre grandi religioni monoteiste in quel mondo lontano
valgono da sole la lettura del libro.
s. r.
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