CASO CODAZZI. ESTREMI RIMEDI PER UNA SITUAZIONE DI ESTREMA VIOLAZIONE
Viaggio "clandestino" a Strasburgo
Uscendo dalla patria dei soprusi per vedere se esiste davvero l'Europa dei diritti
Ricostruzione di un conto aperto, tutto da saldare

di LUCIANO CODAZZI

Prologo
Forse molti di voi ricorderanno che, poco più di due anni fa, ed esattamente il 9 settembre 1995, il Presidente della Repubblica, On. Scalfaro, venne in visita nella nostra provincia, ospite dalla Casa Alpina di Motta di Campodolcino. Ritenendo che in quella circostanza, trovandosi già da queste parti, potesse intervenire direttamente (mi ero via via rivolto a tutte le Autorità, fra cui, già, la stessa Presidenza, senza mai avere risposta), gli feci prevenire un mio scritto (racc. n. 0865 spedita il 07/09/95) nel quale, dichiarandomi spiacente e addolorato di non potere - per forza maggiore (sprovvisto di documento, abusivamente sottrattomi dai Carabinieri di Novate Mezzola) - essere presente personalmente, gli ricordavo la mia vicenda e i conseguenti gravissimi danni subiti. «Non disperandomi», concludevo rimanendo in attesa di una sollecita risposta (mai giunta!), «avendo sempre fiducia nella Giustizia italiana e nella Costituzione». Sempre il 07/09/95 spedii (con racc. n. 0879) il 4° dossier del ricorso contro l'Italia per risarcimento e indennizzo danni alla Commissione europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo (alla quale mi sono rivolto a partire dal 1993), che inviai per conoscenza anche alle massime autorità dello Stato e ad altri indirizzi.
Alcuni mesi dopo, poiché anche quell'anno finiva senza che alcuno rispondesse alle mie denunce né si muovesse in alcun modo per accertare fatti e responsabilità, maturai la decisione di partire per Strasburgo per accertarmi di persona che le mie carte fossero giunte, per comprovare "dal vivo" il mio ricorso e per sbloccare, in un modo o nell'altro, la paradossale faccenda del documento di identità. Dopo l'acquisizione di informazioni e consigli circa la frontiera che fosse preferibile affrontare in questa impresa rischiosa (ero perfettamente cosciente di rischiare l'arresto), giungo alla conclusione che, anziché Ponte Chiasso o Domodossola, fosse meglio prendere la direzione Zernez (Svizzera). Riferisco a mio figlio Giovanni e alle nuora Danila che sarei partito per un viaggio, senza dire altro: nel caso mi fosse successo qualcosa, avrei così potuto contattarli senza spaventarli e, d'altro canto, se qualcuno avesse chiesto di me, loro sapevano che ero via.

Cronaca del viaggio
Mercoledì 10 gennaio 1996 sono a Livigno, all'Hotel Touring di Renzo Galli, amico di vecchia data e già a conoscenza delle mie vicissitudini, dal quale anche durante la mia precedente attività professionale avevo ricevuto consigli e parole di incoraggiamento. Contatto i servizi di taxi e da nessuno di loro ricevo assicurazioni circa la possibilità di passare la Dogana (La Drosa) sprovvisto di documenti. Metto allora in programma di fare il passo a piedi, per il giorno successivo. L'impresa sarebbe stata per me ancor più rischiosa, anche per quanto riguarda lo sforzo fisico fino a mettere a repentaglio la mia stessa vita, ma d'altro canto dovevo per forza affrontarla.
L'amico Renzo Galli si propone di accompagnarmi in dogana e, qualora, ci avessero lasciati passare, fino alla stazione. Il mattino del Giovedì, verso le 9, si parte. Alla dogana italiana passiamo tranquillamente: forse il Galli era molto conosciuto, sta di fatto che nessuno ci ferma o chiede qualcosa. Alla dogana svizzera, invece, ci chiedono l'esibizione dei documenti. Io, costretto dalle circostanza a una piccola bugia, dico di averlo dimenticato ma che dovrei recarmi a Zernez presso la E.V.W. (forze motrici engadinese) a trovare dei parenti (Siro Codazzi, che in realtà era già in pensione, e Gino Azzalini, ancor oggi ivi impiegato) che svolgevano i turni presso l'azienda elettrica. Il doganiere prende atto di questa dichiarazione e ci consente di andare, con garanzia del ritorno entro breve termine.
Giunti a Zernez, veniamo a sapere dalla direzione dell'azienda che l'Azzalini si trova ancora in ferie e, probabilmente, ancora a casa sua in Buglio e che doveva presto rientrare in attività. Non volendo che l'amico Renzo corresse rischi o potesse venir invischiato in complicità, logicamente torniamo in dogana per vedere se vi fosse qualche altra via da tentare, altrimenti sarei tornato all'idea originaria di fare il valico a piedi. In dogana, dove nel frattempo era cambiato il turno, riferiamo di quel che ci capita e chiediamo se non vi sia un qualche modo per ottenere un permesso temporaneo o qualcos'altro del genere, perché io avrei dovuto aspettare l'arrivo di questo mio cugino. Mi vien detto che, lasciando una dichiarazione, mi avrebbero consentito di restare in Svizzera purché mi impegnassi a rientrare in Italia da questa parte. Cosa, ovviamente, che faccio immediatamente.
Felicissimi, torniamo quindi a Zernez e lì ci salutiamo. Alla stazione consulto gli orari dei treni disponibili e scelgo un treno "regionale" (con partenza alle ore 11 e 25). Sul treno mi chiedono esclusivamente di esibire il biglietto e il mio stato psicologico comincia a migliorare. Zernez- Samaden-Chur-Basel; a Basilea devo cambiare, essendo su un treno locale. Lì trovo un treno di pendolari per Mulhouse: mi mischio agli operai e, tenendomi un po' a distanza dai poliziotti, mostro la ricevuta del mio ricorso a Strasburgo e dico loro che devo recarmi alla Commissione per quella pratica. Mi dicono: «Va bene, passi pure!», senza chiedermi l'esibizione di alcun documento. Una volta sul treno, in pratica ero a posto e infatti riesco ad arrivare, sena altri intoppi, a Strasburgo.
Là giunto, ho il problema di reperire un albergo. All'Hotel de Bruxelles (conservo la fatt. 03629 dell'11/01/96) esibisco la solita documentazione e spiego il motivo della mia visita alla città. «Sì, sì, sono cose importanti», mi dice l'addetto alla reception; «vedrà che riuscirà a risolvere i suoi problemi...» e non mi chiedono passaporto o carta d'identità. Il mattino successivo mi reco all'ufficio turistico, dove prendo una cartina e le informazioni per recarmi alla sede della Commissione; cambio il denaro che mi serve e mi reco con il bus al palazzo dove hanno sede gli uffici che cerco. Si trova vicinissimo a quello del Consiglio d'Europa; prima di entrare scatto una fotografia, a ricordo/testimonianza del viaggio. Prendo l'ingresso centrale e alla portineria mostro ai due addetti in divisa la ricevuta del mio ricorso (Codazzi contro Italia, Ric. N. 26773/95): mi fanno segno di entrare, controllo bagaglio e... sono arrivato. Chiedo di essere ascoltato dal Sig. Antonio Bultrini, del segretariato della Commissione, che firma l'accettazione.
A questi riferisco della mancata risposta alle mie denunce, soprattutto per quanto riguarda il documento di identità e che, a ragione di ciò, mi trovavo lì, in pratica, clandestinamente, e che era per quella stessa ragione che non avevo potuto fissare un appuntamento, per il quale mi scusavo e mi rammaricavo, ma che avevo dovuto necessariamente espormi a quel rischio, con il carico di sofferenza fisica e con l'impegno anche economico che ciò comportava, affinché finalmente qualcuno intervenisse e qualcosa si muovesse...
Al termine del colloquio, nel quale ho avuto modo di spiegare la situazione in cui mi trovavo e di raccontare delle innumerevoli denunce e del lunghissimo elenco di autorità cui mi sono rivolto, mi assicura che si sarebbe occupato per il rientro in Italia... mi invita a continuare a inviare la documentazione circa gli sviluppi della vicenda... Ma nulla, nemmeno un consiglio, per quanto riguarda il documento di identità. Un po' rammaricato, lo saluto e prendo il bus per rientrare in albergo. Rimuginando tra me su tutto l'accaduto, penso di farmi arrestare, perché nessuno si muove... "Poi qualcosa succederà!" All'autista, che capiva bene l'italiano, chiedo se sapeva indicarmi dove potevo trovare un comando di Polizia: «Voglio farmi arrestare, perché sono senza documenti». Molto gentilmente, a una fermata, mi indica un palazzo dove si trova il Commissariat Central (in rue de la Nuée-Bleue, 11).
Le guardie d'ingresso mi accompagnano negli uffici interni e lì mostro il mio fogliettino del ricorso, lamentando le inutili denunce, ecc. ecc. senza che nessuno si preoccupi di alcunché. Fanno intervenire un'interprete, una gentile signora; le prime parole che pronuncia sono che a nessun cittadino europeo si possono negare i documenti! (Che bello sentirlo dire, così distante da casa mia. È quello che vado dicendo a tutti da anni...). Chiedo se potrei essere accompagnato all'ambasciata, avvisando stampa e televisione. La risposta è che non servirebbe a nulla e che sarebbe stato necessario un viaggio di 150 Km (Parigi), ma che però avrebbero pensato loro a contattare il consolato di Mulhouse. Infatti telefonano e prendono accordi con il Console Paolo Trichilo, nominativo che mi scrivono su un foglio con il timbro del commissariato.
Visto che non mi hanno ancora arrestato, faccio il biglietto per Basilea e, sono circa le ore 16 del 12 gennaio 1996, scendo a Mulhouse e mi presento al Consolato italiano. Da lì chiamano il Comune di Buglio in Monte per un verifica della mia attendibilità (non si sa mai che fossi un pregiudicato fuggitivo!). All'altro capo del telefono il Sig. Natale Sciani, ufficiale di stato civile del predetto Comune (l'abbiamo già "incontrato" il mese scorso, quando voleva farmi andare dai finanzieri di Morbegno con una "fotocarta" d'identità), probabilmente riferisce che mi conosce bene. Mi fanno parlare con lui per vedere se riconosceva la mia voce, per accertarsi in qualche modo della mia identità. Il Sciani, forse un po' imbarazzato (non dev'essere stata, quella, una "pratica" di routine per lui!) o forse anche perché sentitosi investito di una grande responsabilità, pronuncia parole di conforto e che tendono a minimizzare; io rispondo con fermezza, ribadendo la mia richiesta per una soluzione rapida della questione (documento). Terminato l'accertamento telefonico, mi mandano in stazione per delle foto-tessere (un esemplare viene riprodotto per l'illustrazione di questo racconto), una delle quali viene usata per il "documento di viaggio (N° 51), rilasciato ai sensi degli artt. 21 e 79 del D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200 e «valido fino al 16 gennaio 1996» come riportato sul medesimo, a firma del Console Paolo Trichilo.
Ringrazio, ovviamente, e a questo proposito voglio anzi sottolineare che, in tutta la mia storia di queste doglianze, nella quale non ho avuto mai né misericordia, né assistenza di alcun genere da nessuno, l'unico che si sia messo "a disposizione" chiedendomi se avessi necessità di denaro o di altro per il rientro fu proprio e soltanto il Console Trichilo, conosciuto all'estero in questa circostanza. Tanto di cappello. Io risposi ringraziando, che di denaro ne avevo a sufficienza (erano, come sono rimasti, i diritti a scarseggiare!). Inoltre, l'addetto che mi consegna il foglio, Sig. Salani (il nome, purtroppo, non me lo sono segnato), coinvolto nella mia vicenda, si presenta e mi dice che è di Bologna, con parole di cortesia e cordialità.
Tutto felice, prenoto all'Hotel Restaurant Central di Mulhouse e passo la serata tranquillo in un bar lì vicino, dove trovo molti italiani, persone a modo, ai quali finisco per raccontare la mia "avventura" europea e in solidarietà e per onorare il mio successo (sono uscito da clandestino e rientro in patria con una, sia pur fugace, riacquisizione di diritti!) mi offrono una consumazione.
Il mattino del 13, Sabato, riprendo il treno per Basilea. Alla dogana svizzera presento il mio documento di viaggio («con validità di passaporto, è rilasciato a causa: assenza di documenti» reca scritto, in italiano e in francese, «ed è valido per il solo rientro in Italia e per i paesi di necessario transito»), vengo fermato e accomodato in un ufficio. Dopo circa una mezz'ora di attesa, mi riconsegnano il foglio, controllano la valigetta e mi dicono: «Lei è a posto, può andare tranquillo».
Ero tanto contento che presi la decisione di fare ancora Basel-Zernez per passare da Livigno, dove giugno con il pullman dell'Autoservizi Silvestri, per riferire agli amici che aspettavano mie notizie e che mi festeggiano calorosamente. Fra questi vi era Fabrizio Pedrana, figlio del maestro, che ha voluto che facessi un brindisi in compagnia, nel suo Bar.

Epilogo
Per come riuscii poi ad avere (dopo 2.100 giorni!) la carta di identità, si veda la prima puntata dei miei racconti sul Gazetin (marzo 1996), numero che ho inviato per raccomandata sia alla Commissione europea di Strasburgo (in data 28 febbraio 1996) che al Consolato di Mulhouse (in data 29 giugno 1996), con personalizzate lettere di accompagnamento ai corretti funzionari che ho conosciuto durante il "viaggio da clandestino" che vi ho appena finito di raccontare. L'avventura, per certi versi drammatica per gli esiti anche diversi che avrebbe potuto avere, compromise la mia salute con una perdita di equilibrio, riscontratami e prontamente risoltami dal mio bravo medico curante, Dr Gianluigi Passerini, che ancor oggi segue con attenzione tutta la mia vicenda.
Potrà sembrarvi, questa, una ennesima parentesi o un "saltare di palo in frasca" ma, mentre aspettiamo gli sviluppi dei procedimenti incardinati e, magari, anche la maturazione della coscienza dei molti cittadini con tante piccole e grandi storie come le mie, era per me importante farvi partecipi di questo episodio che mi è costato un grande investimento emotivo (la speranza, il rischio...), ma anche una gravosa fatica (fisica, economica e morale) che va a sommarsi, nel danno, al fallimento ingiustamente e irritualmente comminatomi senza che avessi alcun debito, ai 2.100 giorni senza documenti, al furgone abusivamente sottrattomi, alla arbitrariamente negata reiscrizione all'Enasarco, alla mancata riabilitazione, alla paradossale condanna per calunnia. Il tutto, come ho documentato in prove concrete, con l'incessante opera insabbiatoria di fior di magistrati, l'omertosa inerzia delle persone insediate nelle cariche civili e politiche di ogni livello e grado, e, sovente, anche con la diretta complicità o la colpevole negligenza di avvocati, sempre regolarmente compensati.
Sommatoria di danni, abusi e soprusi dei quali riformulo pubblica denunzia e ribadisco ferma volontà di ottenerne accertamento, giusto risarcimento e ripristino dei diritti violati. Nulla di più, ma nemmeno una virgola di meno.

[DIDASCALIA DELL'ILLUSTRAZIONE:]
Strasburgo. Il palazzo ove ha sede la Commissione europea per i diritti dell'uomo, ripreso da Luciano Codazzi, come racconta lui stesso nel servizio, il 12 gennaio 1996.

(da 'l Gazetin, NOVEMBRE 1997)


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