Elias Canetti, premio Nobel per
la letteratura del 1981, famoso per il capolavoro Auto da fé,
è l'autore di questo libro ideato come un puzzle perfetto.
I cinquanta elementi che lo compongono sono altrettanti ritratti
di caratteri maschili e femminili che possiamo ritrovare, più o
meno spesso, nelle persone che incontriamo ogni giorno e di cui,
in un certo senso, siamo, appunto, «testimoni auricolari».
Non sarà difficile, infatti, ritrovare qualcuno di nostra
conoscenza, diretta o magari televisiva, nel «Parlavuoto» o
nell'«Iperpurista» che pesa le parole su una bilancia d'oro,
nell'«Ombrosa» o nella «Abbagliauomini», sempre pronta a
mettersi in mostra. E chissà che non ci venga in mente qualcuno
leggendo la descrizione del «Geniometro» o del «Maestroso»,
del «Calibratore» che pesa i meriti degli uomini o del
«Trombone di Dio», convinto che «qualunque cosa voglia
intraprendere, c'è sempre la firma di Dio».
Esasperando volutamente le caratteristiche dei vari ritratti,
Canetti ha dato vita ad una galleria di personaggi immaginari (ma
non troppo!) che consentono al lettore di spaziare in una buona
parte del campionario dei difetti umani.
Il risultato di questo gioco è un libro ironico, facilmente
leggibile ed estremamente puntuale nella descrizione dei
particolari.
La speranza è che, leggendolo, non ci comportiamo come il
«Trincalibri» che «... quanto più legge, tanto più rimane lo
stesso»!
Elena Paltrinieri
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Pinocchio ha trovato, da subito,
aiuto e protezione nella Fata Turchina. Collodi invece ha dovuto
aspettare, parecchio tempo, prima di incontrare la sua fata buona
nelle vesti del critico Daniela Marcheschi perché ne rivalutasse
il ruolo nella Letteratura Italiana. E, dopo tanto tempo, ci
voleva proprio un libro che il lettore potesse conservare,
sfogliare, interrogare; un libro, insomma, da poggiare sullo
scaffale accanto ai maestri della narrativa. E chi meglio di un
Meridiano Mondadori poteva riparare a una dimenticanza editoriale
e critica tanto ingiusta?
E se il Meridiano ora c'è, di 1.130 pagine, note comprese,
apriamolo e scopriamo come chi fa critica e antologizza un autore
deve lavorare per evitare il ruolo di critico-volpe che va in
giro per le università, a volte anche sui giornali, a seminare
saggi in similoro. Daniela Marcheschi innanzitutto fa delle
scoperte. Altrimenti che ci sta a fare il critico! E tali
scoperte le documenta e le utilizza per proporre una nuova linea
interpretativa della Letteratura Italiana. In una coinvolgente
introduzione racconta che Collodi non era, non è, il benedetto
dalla Musa, magari aiutato da un fiasco di vino, che quasi senza
accorgersene ha scritto un libro "immortale", il
Pinocchio. Ma bensì, ripercorrendone gli scritti sui giornali
umoristici e per ragazzi, le opere sparse e la produzione
teatrale, il critico rileva che Collodi tentava di portare in
Italia una maniera diversa di raccontare storie usando
l'insegnamento di Laurence Sterne: l'inventore di Tristram
Shandy. In sintesi l'umorismo come forma di conoscenza.
Pensate un po', mentre realisti e classicisti in disarmo si
bacchettavano di santa ragione, a Firenze, scrivendo per bambini
e grandi, l'ometto dal naso paonazzo tentava una scrittura
surreale, umoristica, straniante. Basta leggere le Macchiette
e i raccontini di Occhi e nasi per accorgersene.
Prenderanno nota chi fa manuali per la scuola superiore che
magari antologizzano la Percoto e dimenticano Collodi? Non lo so.
Faranno seminari all'Università su questo autentico scrittore?!
Non lo so davvero. Ma il lettore dal fiuto giusto, che apprezza
gli studi seri e i libri che servono, nel suo piccolo sono sicuro
che sa cosa fare: leggersi il Collodi dimenticato. E poi magari
rileggere Pinocchio, del quale chi scrive, come toscano, è
sicuramente un lontano parente.
Claudio Di Scalzo
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