DEL RE “BITTO” E DEI SUOI ACCIACCHI… PROPOSTE (E POLEMICHE) DI STAGIONE

E se introducessimo il “Bitto novello”?

 

di ALFREDO MAZZONI

 

Durante l’estate, una mia carissima amica è andata sull’alpe più bella di tutta la Valle del Bitto di Albaredo e ha acquistato una forma di formaggio Bitto. Nel riferirmi ciò al telefonino (io ero ai Piani di Bobbio, in Valsassina a fare il casaro), ha aggiunto demoralizzata che un Bitto così schifoso non l’aveva mai mangiato. Sapendo che le sue conoscenze sui formaggi si limitano all’assaggio prima del pranzo, le ho detto, facendo l’avvocato del …Bitto, che era un po’ difficile, tramite cellulare, riuscire a capire cosa le avessero …rifilato. Comunque le ho tenuto da parte una forma di mia produzione, che potremmo definire “imparentata” col nostro. A fine anno, in una cena al lume di candela… ne verificheremo la bontà (magari?!). E, dimenticavo l’aspetto più concreto, pagandola 15,00 Euro al chilo!!!

L’amico e collega Ezio, durante le nostre belle discussioni sulle tematiche del settore, ama dirmi che un formaggio Bitto deve sempre avere quattro caratteristiche fondamentali per essere tale: il “marchio all’origine”, lo scalzo concavo, il “marchio a fuoco” e almeno sessanta giorni di stagionatura; per non parlare del peso, dell’altezza dello scalzo, delle dimensioni, etc. Per i profani, faccio presente che il “marchio a fuoco” è quello che “trasforma” una forma di formaggio “Grasso d’alpe” in una di “Bitto”. Come è possibile, allora, che a metà luglio di ogni estate, nei negozi delle nostre vallate, sia possibile acquistare del Bitto? Gli organi deputati al controllo, prima o poi, faranno il loro dovere e chi verrà beccato “in flagranza” ne pagherà le conseguenze… Questo l’aspetto, diciamo, legale del problema: come risolverlo? Sicuramente è da ladri far pagare a quel prezzo un formaggio di 20/30 giorni di stagionatura; sapendo poi che non ha le caratteristiche tipiche e necessarie del prodotto che si vende con quel nome.

Chissà se si può fare come per il primo vino che si spilla dalla botte e chiamarlo “Bitto novello”, almeno per… pudore. Così, come il vino novello non è maturo, anche per il nostro formaggio, che maturo non è ancora, le cose sarebbero chiare. E, soprattutto, non credo che i produttori di vino lo facciano pagare come la bottiglia finale! Sicuramente il nostro “novello” è un prodotto di qualità inferiore alla forma che poi si firmerà “a fuoco”. Infatti, generalmente le forme che si tagliano “prima del tempo” non sono quelle destinate all’invecchiamento, cioè le migliori. Una sorta di accordo tacito che salvi capra e cavoli: continuare a vendere quel tipo di formaggio prima del tempo disciplinato per legge (sessanta giorni) senza frodare il consumatore sul prezzo. Prezzo che, sempre per convenzione, si potrebbe stabilire inferiore di un terzo del prezzo finale. Se ciò non fosse possibile?

Forse vi ho lasciato con una mezza gabola!? Per cui ho deciso di porre rimedio, facendo una proposta più seria e sicuramente più fattibile. Partiamo dal presupposto, e dalla legge, secondo cui non si può commercializzare un formaggio prodotto con latte non pastorizzato, se lo stesso non ha almeno sessanta giorni di stagionatura. Il Bitto d’annata, cioè prodotto sugli alpeggi durante l’estate appena trascorsa, alla 97ª Fiera del Bitto veniva venduto a 18,00 Euro al chilo (circa 36.000 Lire). –Allucinante! Chissà se è stato venduto tutto? Il mio amico che lavora alla Standa, se prima ne comperava un chilo, adesso ne compera un etto. Ma tant’è, il prodotto è buono e scarso, per cui sul mercato si vende ancora bene, almeno stando alla voce del popolo. Che invece se lo possa comprare solo chi è sopra la “soglia di povertà”, questo è relativo… però il Bitto marchiato “a fuoco”, intendiamoci. E con questi prezzi, se anche i produttori non possono mettere sul mercato il “Bitto novello”, attendendo almeno i 60 giorni di canonica stagionatura le spese possono proprio permettersi di pagarle, checché ne dicano. Lasciamo perdere e i sacrifici e le fatiche e il rischio… che ormai lavorare stanca per tutti. – Questa è la proposta concreta!

Visto che quest’anno il “Ciappa” non si può lamentare perché i primi premi alla Mostra-concorso sono stati vinti da alpeggi della sua vallata, riporto solo una lamentela che ho udito nell’ambiente fiera: la giuria era troppo di parte… hanno voluto dargli il contentino… Ma, si sa, la gente è cattiva. Chiusa lì!

Per evitare le solite trite e ritrite contestazioni, perché il Bitto prodotto da coloro che aderiscono al disciplinare di produzione dell’Associazione Valli del Bitto non viene giudicato a parte, anche da una giuria “non professionale”, ma dopo almeno un anno di stagionatura? Non so se eviteremmo del tutto le polemiche, ma sicuramente il Bitto con quel periodo di stagionatura varrebbe ben oltre i diciotto euro al chilo. L’amico Italo, mi ha fatto sapere che l’Associazione ha già proposto al Consorzio di Tutela di ritirare lui la seconda forma che (ogni anno) viene portata alla mostra per il giudizio, di stagionarla (a sue spese?) e di metterla in concorso l’anno dopo. Vedremo!



(da 'l Gazetin, NOVEMBRE 2004)


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