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di BENEDETTO DELLA VEDOVA

Pacs

Le unioni civili una scelta di civiltà




Alchimia della famiglia


di ENEA SANSI

La Spagna ha votato una legge che consente alle coppie omosessuali di accedere all’istituto del matrimonio. Le autorità ecclesiastiche hanno condannato con parole durissime, parlando di “aberrazione”. Ora, la discussione attorno al matrimonio può generare alcuni equivoci. Anche all’interno del mondo omosessuale vi sono molti che non ritengono di rivendicare la totale equiparazione tra coppie “tradizionali” e coppie composte da due donne o da due uomini. In effetti l’istituto del matrimonio come i secoli ce lo hanno tramandato è incentrato sulla coppia formata da un uomo e una donna ed estenderlo alle altre forme di vita di coppia può apparire una forzatura.

Ma al di là delle definizioni – matrimonio o altro – è assurdo non prendere atto che nel mondo libero un numero crescente di persone scelgono di vivere con pienezza il proprio orientamento omosessuale anche attraverso la vita di coppia. La coppia gay, in questo del tutto simile alla coppia etero, si fonda su un rapporto di amore e di mutua solidarietà. Ritenere che a queste coppie non vada riconosciuto alcun diritto di quelli che l’ordinamento riconosce alle coppie tradizionali, è semplicemente crudele. Come non ritenere, ad esempio, che il partner di una coppia gay, magari dopo una convivenza trentennale, non possa subentrare nel contratto di affitto in caso di decesso del partner o non possa accedere all’assistenza ospedaliera dello stesso in qualità di “familiare”? O non possa accedere alla pensione di reversibilità (fin che ci sarà)? O ancora, che non possa acquisire alcun diritto particolare in caso di eredità? E potremmo continuare.

Per tutto questo, se non si vuole scomodare l’istituto del matrimonio, esistono esempi ben sperimentati di regolazione delle unioni civili (anche tra persone di sesso diverso) che assicurano questo tipo di condizioni. È l’esperienza francese dei PACS (patto civile di solidarietà). Una scelta di civiltà. Conforta sapere che il direttore di Famiglia Cristiana, anziché unirsi al coro delle condanne senza appello, abbia mostrato una personale disponibilità all’introduzione anche nell’ordinamento italiano proprio del PACS.

Vedremo.

www.benedettodellavedova.com

«Famiglie-farsa con due padri o due mamme». Così titolavano i giornali perbene l’indomani dell’approvazione, in Spagna, della legge che consente il matrimonio fra due persone dello stesso sesso e – udite! udite! – persino l’adozione di bambini da parte di una simile “famiglia-farsa”… Meglio, molto meglio, che piuttosto continuino, questi bambini, a rimanere relegati negli istituti, dove notoriamente il “clima familiare” è ricostruito alla perfezione, specie se gestiti da religiosi/religiose, magari con rigide divisioni e separazioni (in base al sesso, appunto).

Non ci vuole molta fantasia per immaginare le argomentazioni fatte seguire a quei titoli, a firma dell’editorialista, o dell’esperto, o del prelato di turno. Sempre, ovviamente, premettendo che nessuno intende fare discriminazioni, né mancare di rispetto a chicchessia in ragione del suo orientamento sessuale, ma che bisogna sempre guardare e mettere davanti l’interesse (supremo) del bambino. Con questo alibi, che consentirebbe di pontificare anche da posizioni… liberali o progressiste, si possono allora celebrare le magnifiche sorti dell’istituzione matrimonio, sia esso considerato sacramento o contratto civile, ineluttabilmente e univocamente però – chiamando in causo, anche qui, la Natura – fondata sul rapporto tra un uomo e una donna. Perché, si sostiene, da una rapporto sterile per definizione (tanto per non mancare di rispetto e non fare discriminazioni, eh?!) si pretende una prole?

E subito Prodi (ma anche Della Vedova, se bene intendo quel che scrive qui a fianco) a precisare che no, in Italia non si vuole questo – ci mancherebbe! Sic – ma solo i “patti”. E così via minimizzando. E sempre sulla difensiva.

Non sono un patito del matrimonio, ma non per questo devo sostenere che nessuno si dovrebbe sposare. Perché bisogna sempre anteporre a ogni cosa e a ogni ragionamento la propria visione, le proprie convinzioni? Pretendere che siano quelle assolute, fondamentali, inderogabili e, insomma, pretendere che tutti debbano a queste conformarsi? Si ritiene adatta all’allevamento e all’educazione di un figlio (…di nessuno, magari) una comunità e non, invece, un comunità fatta di due persone. In ragione di cosa? Del loro sesso? Suvvia, siamo seri!

Se abbiamo paure ancestrali, tabù succhiati con il latte materno, paraocchi saldati alle orecchie che non ci lasciano guardare che in quella direzione, ebbene, di questo parliamo… ma per favore lasciamo stare i bambini. Ché altrimenti il costernato editorialista potrebbe sentirsi rispondere, com’è del resto più che ragionevole: «Meglio due mamme che neanche una».


(da 'l Gazetin, LUGLIO/AGOSTO 2005)