Pensieri inutili di GINO SONGINI

Tolstoj a Morbegno

Colto da raptus, decide di farla finita buttandosi sotto il treno n. 1-7-9-3-7-2-6-0-8-5-1-4-9…

Ovvero: quando la realtà supera ogni fantasia

Entriamo, io e mio nonno, nella stazione di Morbegno. Fuori fa un freddo cane e la sala d’aspetto, riscaldata a pulita, ci accoglie con un caldo abbraccio. Ci sentiamo decisamente confortati. Allo sportello il nonno ha provveduto ai biglietti – due, andata a ritorno a Sondrio – e poi si è accomodato con me ad aspettare il treno. Le pareti della stazione, esterne ed interne, sono come sempre pulite, tanto che paiono tinteggiate di fresco. I viaggiatori, confortati dal caldo del locale, leggono riviste e giornali, oppure conversano a bassa voce tra di loro. C’è calore, ordine, pulizie e io e il nonno ci sentiamo decisamente a nostro agio. Appare oltre la porta a vetri i capostazione, con paletta ed elegante berretto rosso. Manca poco all’arrivo del treno e insieme agli altri viaggiatori usciamo sotto la pensilina: i ferrovieri provvedono alle loro manovre, rispondono cortesemente alle richieste della gente, controllano che tutto sia in ordine. Il campanello già suona da qualche minuto e una voce chiara e pacata annuncia l’arrivo del treno sul primo binario. Improvvisamente il nonno mi dice di avere dimenticato all’interno lo zaino e allora entro velocemente a riprenderlo. Ma ecco che in questo momento mi appare bene in vista sulla parete della sala il calendario, con tanto di mese a anno: febbraio 1956.

Mi sveglio dal sogno e mi ritrovo alla stazione di Morbegno in data 1° maggio 2003, giovedì. Io e mia moglie siamo in partenza per Milano. 1° maggio: festa del lavoro. Le porte della stazione ferroviaria, sia pure malferme e traballanti, rimangono ostinatamente chiuse. Perché mai? E chi, come noi, vuole munirsi del necessario biglietto? Niente da fare, non si entra da nessuna parte. Possiamo chiedere a qualcuno.

Ma a chi, santo cielo, se non c’è traccia di personale e non si trova un ferroviere neanche a cercarlo con la lanterna? Potremmo chiedere informazioni ai tre marocchini che stazionano nei paraggi, ma non ci sembra una buona idea. Meglio lasciar perdere. Giriamo intorno alla stazione di trecentosessanta gradi: niente da fare, non c’è proprio nessuno. In compenso abbiamo modo di vedere (o di rivedere) le miriadi di scritte oscene che imbrattano le pareti della stazione, le cartacce sparse per terra, i vetri rotti delle finestre, le cicche e i mozziconi disseminati ovunque. Intanto il momento della partenza si avvicina. A chi chiedere un’informazione? Un anziano che incontriamo nel piazzale, nella zona dei taxi, ci suggerisce di recarci presso qualche tabaccheria del centro di Morbegno, dove forse riusciremo a trovare i sospirati biglietti (nel frattempo il treno arriverebbe a Calolziocorte). Una signora che conduce una bicicletta ci consiglia di recarci presso la vicina stazione dei pullman, dove la biglietteria potrebbe essere aperta (ma non ne è sicura). Ci dirigiamo di gran carriera verso la sede indicata che, come detto, non è lontana. In effetti la biglietteria è aperta, però l’incaricata ci dice di non essere in possesso dei normali biglietti ma soltanto di ticket con tratta chilometrica prestabilita, suggerendoci di acquistare bigliettini sola andata: il ritorno lo potremo fare a Milano. Acquistiamo biglietti per una distanza superiore a quella tra Morbegno e Milano e dobbiamo pertanto pagare la relativa maggiorazione.

Sborsando due euro e qualcosa più del dovuto entriamo finalmente in possesso dei sospirati biglietti e torniamo sotto la pensilina appena in tempo per sentire dall’anonima, metallica e preregistrata voce dell’altoparlante che il treno diretto n. 1-7-9-3-7-2-6-0-8-5-1-4-9 …ecc. …ecc. (ma a chi mai può fregare qualcosa di questi stramaledetti numeri?) proveniente da Sondrio e diretto a Milano è in arrivo sul secondo binario. Nessun ferroviere, nessun capostazione, nessun berretto rosso. Soltanto orrendi geroglifici, oscenità, cartacce. In treno vorrei chiedere a mia moglie a quale scopo paghiamo le tasse per avere tanto confortevoli servizi, ma le risparmio la domanda, intuendo che è la stessa che lei vorrebbe rivolgere a me. Non posso però trattenermi dal far presente al controllore, quando viene a chiedere i biglietti, la situazione assurda in cui ci siamo venuti a trovare alla stazione di Morbegno. Mi risponde cortesemente che tale stato di cose non è certo colpa sua (su questo non avevo alcun dubbio) ma che, qualora fossimo saliti in treno sprovvisti di biglietto, lui, a norma di regolamento, avrebbe dovuto comminarci l’inevitabile ammenda, pari a un importo sufficiente ad alleggerire non poco le nostre incolpevoli tasche (anche su questo non avevo il minimo dubbio). Trascinato dalla passione corporativa, ci dice che le esigenze di bilancio hanno costretto le Ferrovie dello Stato a ridurre il personale e a tagliare considerevolmente i piani di spesa (ecco la grande novità!).

Che dire? Resta il fatto che la stazione di Morbegno, la seconda per importanza della provincia, giovedì 1° maggio 2003 era inesorabilmente chiusa, oltre che sporca e abbandonata come un deposito di ferrivecchi. Già, bisogna tagliare, bisogna risparmiare. Forse è per questo che la RAI, faccio un esempio a caso, per trasmettere una qualsiasi partita di calcio assolda battaglioni di telecronisti strapagati, che riempirebbero appunto un vagone ferroviario: uno che domanda, l’altro che risponde, l’altro che interrompe, l’altro che divaga, l’altro che si annoia, mandando tutti insieme a carte quarantotto la telecronaca della partita (Nicolò Carosio, se ci sei, batti un colpo). Bisogna tagliare, bisogna risparmiare. Forse è per questo che eserciti di bidelli e bidelle, per lo più fumatori incalliti e maniaci di parole crociate, riempiono scuole di ogni ordine e grado sempre più vuote di alunni e di studenti.

Già: e sempre per risparmiare viene concesso ai consiglieri di regione (almeno a quelli di alcune regioni italiane) di andare in pensione dopo un solo mandato di cinque anni con assegni mensili di migliaia e migliaia di euro (e magari trent’anni di età). Ed è sempre per risparmiare che i nostri malati, con ferite ancora fresche e punti di sutura che “saltano”, vengono immediatamente allontanati dagli ospedali anche dopo importanti interventi chirurgici. Ed è per risparmiare che vengono impietosamente congedati anche coloro che più avrebbero bisogno di assistenza e di cure (quanta sofferenza nelle povere case!).

Penso a tutto questo mentre l’amico treno corre verso la stazione centrale di Milano. Penso a Leone Tolstoj, uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi, che nel lontano 1910, sentendosi venir meno per la malattia e per l’età, decise di andare a morire in una sperduta stazioncina ferroviaria della Russia zarista. Nel cuore della steppa egli trovò una sala d’aspetto pulita, una stufa accesa e una comoda panca sulla quale stendersi per esalare l’ultimo respiro. A Morbegno, giovedì 1° maggio 2003, non avrebbe potuto fare neppure questo. A massimo, volendo, avrebbe potuto buttarsi sotto il treno n. 1-7-9-3-7-2-6-0-8-5-1-4-9, proveniente da Sondrio e diretto a Milano.

(da 'l Gazetin, GIUGNO 2003)


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