L’errore
di Tarabini (nel 1999)
e quello, odierno, di Provera
di ENEA SANSI
Nel luglio del 1999, rispondendo ai commenti al voto delle provinciali di Natale Contini e di Alberto Frizziero, ebbi occasione di dichiarare che bene avrebbero fatto i «recenti alleati» di Eugenio Tarabini a lasciare interamente al movimento dei Popolari Retici l’espressione della compagine governativa della Provincia. «Sì – precisavo – proprio ai vari Arrigoni, Benetti e via elencando» (a proposito: che fine hanno fatto costoro?). A “vincere”, a quell’epoca, era infatti stata una forza politica locale, una autonoma organizzazione che aveva lentamente costruito una politica per la provincia. «So bene – così concludevo il ragionamento – che è alquanto improbabile che così sarà, ma se Fi o An/Ccd rivendicheranno ciascuno la propria “quota” (di assessori e quant’altro) vanificheranno da subito gran parte dei risultati fin qui ottenuti, probabilmente bloccando – com’è nei timori paventati dal neo-presidente nelle sue prime dichiarazioni – ogni ulteriore ancora possibile evoluzione».
Facile profeta – direte voi. Oggi, forse, facile può sembrare. Ma solo col senno del poi: dopo che, sempre per omogeneità al quadro politico nazionale e regionale, la maggioranza venne estesa anche alla Lega; dopo che l’ambizioso progetto dell’autonomia – che sarebbe dovuto divenire impegno istituzionale e anzi elemento costitutivo stesso dell’azione amministrativa – è tornato nell’ambito della riflessione teorica o, se si preferisce, nel limbo dei “pii desideri”. Dopo che Tarabini è stato sconfitto, e anche l’anomalia del suo movimento ricondotta nei ranghi o comunque sminuita.
Questa volta, invece, non c’è stato bisogno di prevederlo che le cose sarebbero andate così. Che Provera non avrebbe nemmeno preso in considerazione l’ipotesi – com’era, ancor più che allora, certamente legittimo e lineare avvenisse – di un monocolore leghista. Ma ciò, a voler guardare le cose senza i paraocchi, era invece dovuto. Se non per rispetto della volontà dei molti elettori, soprattutto del secondo turno, che proprio per uscire dal pantano della “omogeneità col quadro politico regionale e nazionale” avevano puntato sul “candidato solitario”, almeno per rispetto – e precauzione – verso se stesso. Che fiducia può mai riporre, Provera, in personaggi (e in politiche, quindi) che, due giorni dopo i risultati, chiedevano sui giornali e in tv a Tarabini, al loro candidato!, di dimettersi da consigliere per lasciar spazio a uno “dei loro”?
Se il parco dei suoi consiglieri, peraltro strepitosamente affollato, non era sufficiente per individuare le impegnative responsabilità di governo con i requisiti sbandierati come essenziali (onestà e competenza) – cosa, questa, che non fa certo ben sperare per il futuro che ci attende – Provera avrebbe sempre potuto rivolgersi all’esterno, a quella “società civile” tanto osannata in campagna elettorale. Perché, invece: un Fi, un An, un Udc? Non si erano costoro presentati di fronte agli elettori con un programma e con degli uomini diversi? E non erano stati, sonoramente, battuti?
Capisco. Ci sono ancora le comunità montane da spartire e, in vista, le regionali…
Tanti auguri, Presidente! Perché ne ha davvero bisogno.
(da 'l Gazetin, AGOSTO 2004)
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