Pagine di diario

Requiem per il francese

 di Attilio Pandini

28 gennaio 2004 – Il 22 gennaio è cominciato in Cina l’anno della scimmia e il TG1 ci ha informato che a Roma i giovani studiano più numerosi il cinese che il francese. Lo stesso giorno un quotidiano ginevrino ha scritto che fra dieci anni l’inglese avrà sostituito il francese (e anche il tedesco) come lingua di comunicazione fra i giovani svizzeri. Fin verso il 1960 il francese era ancora, in Europa, la lingua di lavoro per diplomatici e giornalisti; in Italia, nei congressi di partito, il caloroso saluto alle delegazioni estere era sempre rivolto in francese, di solito da un personaggio rifugiatosi a Parigi o a Lione durante il fascismo. Così poteva accadere che un vecchio sindacalista salutasse quei delegati au nom des travailleurs du bras et de la menthe, e forse qualche ospite avrà trovato curioso il richiamo alla piantina aromatica.

In quegli anni era proverbiale l’eccessiva confidenza che molti italiani si prendevano con la lingua di Molière, tanto che fiorì una messe di aneddoti: dal con qui parle? usato da un vecchio presidente del Consiglio per rispondere al telefono, al faites-le salir col quale un ministro chiese che un illustre visitatore fosse accompagnato nel suo studio. Disinvolta anche la percezione del francese nei ceti popolari lombardi, con la fruttivendola che al comment s’appellent? del turista di fronte al paniere delle noci rispondeva i se pélen no, i se schíscen, non si pelano, si schiacciano. Al contrario i nostri emigranti in Svizzera hanno presto adattato le parole tedesche e francesi alla loro lingua di casa. E se die Krankenkasse, la cassa malattia, si è trasformata in Grancassa, nei cantoni francofoni la contiguità della lingua ha permesso innumerevoli calchi, sicché si sente dire enervato per enervé, irritato; etaggio per étage, piano; fasciato per faché, adirato; cràpula per crapule, canaglia; luare per louer, affittare, e via raccontando: “Ho luato tre pezzi (pièce, locale) al terzo etaggio di un vecchio batimento (bâtiment, edificio) ma il regista (régisseur, amministratore) è un volore (voleur, ladro)”.

Invece nelle radio-tv italiane il francese è spesso pronunciato all’inglese. Non meraviglia più sentir chiamare Victor Hiugo il grande poeta, Laion la città di Lyon, Tribjun la Tribune, Montrial la capitale del Québec. (Il contagio si estende all’italiano e al latino: si è perfino udito Chéisbol per Cassibile, il villaggio siciliano in cui nel ’43 si firmò l’armistizio fra l’Italia e gli Alleati, e àiter per iter: “l’àiter burocratico della legge…”).

Per i nostri giovani in visita nei paesi francofoni sarebbe forse utile un piccolo vademecum che li protegga dagli errori più imbarazzanti, cominciando dagli appuntamenti. Se una ragazza afferma che verrà sans doute, vuol dire soltanto “probabilmente”; avrebbe usato sans aucun doute per assicurare “verrò certamente”. Sul finire della vita, George Simenon confidò a un noto giornalista italiano che quella era sans doute l’ultima sua intervista. Poi ne diede invece un’altra; e il noto giornalista, che, traducendo sans doute in “senza dubbio”, l’aveva lanciata con grande fracasso come l’estrema confessione dello scrittore, affermò, a torto, che Simenon non era uomo di parola, cadendo così dall’errore nel ridicolo. Un suo collega scrisse invece che Simenon, agli esordi, teneva per un giornale di Liegi una rubrica sui cani schiacciati, les chiens écrasés, e se ne meravigliò molto; ma anch’egli a torto, perché l’espressione significa, nel gergo giornalistico, occuparsi di piccola cronaca. E neppure il nostro giovane si meravigli apprendendo che in francese vuol spesso dire qua: je suis là, sono qui. Egli non dirà, con romantica tristezza, tu me trascures, perché in francese trascurer non esiste: si deve usare, semmai lo si ritenga proprio necessario, délaisser. Infine, calorosa raccomandazione, il giovane ricordi che all’origine anche in Italia gli sci si chiamavano ski. Quindi, invitando una ragazza a un fine settimana sulla neve, le proporrà di aller skier ensemble. Anche per il verbo usi dunque lo ski: non usi mai, assolutamente, lo sci, ed eviterà indignate ripulse.

(da 'l Gazetin, MARZO 2004)


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