Pagine di diario
L’Italia l’è lunga
di Attilio Pandini
30 dicembre 2003 – Ormai la Rai parla romanesco. E non con quell’armonioso accento proprio della «lingua toscana in bocca romana». Adesso dal pulpito della RAI discende il romanesco delle borgate, involgarito dall’imponente immigrazione dalle regioni meridionali, con vocali sempre più slabbrate, in cui «bene» si allarga fino a diventare un assurdo «bane»; dove gli infiniti dei verbi pèrdono l’ultima sillaba e dunque è un ripetersi di venì, vedé, parlà, annà, sentì e via a cantà; dove le dita si mutano in dida, i programmi in brogrammi, periscopio in beriscobio, partita in bardida, ricalcando la pronuncia del «bovero negro» dei film comici. Così, a scapito dell’IRT, l’italiano regionale toscano, si afferma prepotente l’IRA, l’italiano del raccordo anulare, il linguaggio plebeo parlato all’interno del cerchio autostradale che racchiude la nostra capitale. Questo IRA è proprioun’iradiddio, er peggio chessepossentì, a base di sarvoggnuno, cessei o ceffai, màzzete oh!
Ma all’accento sempre più greve delle reti Rai si somma una visione sociale, politica, geografica e talvolta perfino meteorologica della vita nazionale sempre più romanocentrica. Dovunque i fatti di cronaca, rosa o nera, ormai la fanno da padroni; e sia nei tg sia nelle rubriche delle reti, in non piccola parte dedicate ai pettegolezzi su stelline e vallette e letterine dello spettacolo, inevitabilmente si dà grande risalto a ciò che capita all’interno del raccordo anulare o nelle sue vicinanze. Basta che l’ultimo dei sottosegretari emetta un parere sulla cultura dello spinacio perché subito i trombettieri della Rai lo diffondano ai quattro venti come importante e decisivo contributo politico. Bastano tre fiocchi di neve su Albano Laziale che subito si parla di tormenta, e i poveri operatori tv mostrano di sfuggita la strada appena imbiancata e non indugiano certo sulle gomme lisce delle auto né sull’assenza delle catene regolamentari, piuttosto si affrettano a zoomare in avanti su qualche sgonfiée di neve accumulato dal vento accanto alla strada. Il termometro scende sotto lo zero, ed ecco ancora una volta l’allarmata costatazione dell’arrivo di un immancabile «freddo polare» (ma sono mai stati al polo, quei signori?). Insomma, il proverbio: «neve a novembre, Natale a dicembre» non è ancora di casa negli studi romani della Rai. La quale ci fa spesso temere che la linea gotica costituisca ancora una barriera invalicabile per quelli dell’IRA, tanti sono gli errori nelle loro citazioni dei nomi di località piemontesi, liguri, emiliane o lombardo-venete.
Ai tempi del mitico colonnello Bernacca, re della meteorologia televisiva, si raccontava che quando egli incontrò il suo omologo britannico, il colonnello della RAF che lavorava per la BBC, costui gli domandasse quale percentuale di esiti positivi ottenessero le previsioni meteorologiche dell’aeronautica italiana. E Bernacca: «Siamo fieri di giungere al 40 per cento di giuste previsioni: non è poco, se si considera che l’Italia è lunga più di duemila chilometri, con la testa nelle Alpi e i piedi in Africa». E il colonnello britannico: «Well, certo si tratta di un buon risultato; basterebbe però che diceste il contrario, e ne indovinereste il 60 per cento». È vero, l’Italia l’è lunga, come diceva Bernacca e come cantavano gli emigranti; e Roma è molto lontana dai confini settentrionali e meridionali del paese. La logica vorrebbe che in vista dell’auspicato assetto federale e della moltiplicazione delle reti, e anche per festeggiare degnamente l’anno 2004, in cui cade il 50esimo anniversario del primo telegiornale della Rai, non soltanto una rete tv, ma anche almeno un tg, un giornale radio e una rete radio fossero spostati a Milano.(Non è per caso che escono a Milano i tre maggiori e più autorevoli quotidiani nazionali: il Corriere fra i giornali generalisti, il Sole 24 Ore fra quelli economici e la Gazzetta fra quelli sportivi). Purtroppo basta accennare a questa ipotesi per esser accusati di attentato al prestigio e alla sacralità della Capitale. E così il buon senso rischia ancora una volta di esser sconfitto dalla retorica.
(da 'l Gazetin, FEBBRAIO 2004)
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