DIBATTITO. PROPOSTA L'INTRODUZIONE DELLE UNIONI CIVILI ANCHE IN ITALIA

Pacs e coppie di fatto

Alcune riflessioni a ruota libera più una favola, vera


di VANNA MOTTARELLI


In questi giorni si fa un gran parlare dei PACS, patti che se introdotti nella legislazione italiana garantirebbero alle coppie di fatto diritti che oggi sono prerogativa delle solo coppie sposate (diritto di abitazione, subentro in contratto di affitto, subentro nella gestione di un’azienda, nella pensione e chi più ne ha ne metta).

È bastato che Prodi introducesse l’argomento in apertura della sua campagna elettorale per le primarie per sollevare un gran polverone. Molti politici hanno gridato allo scandalo. Qualcuno ha rettificato il tiro strada facendo dopo aver letto i sondaggi circa l’indice di gradimento della proposta. È scesa in campo la C.E.I. (Conferenza Episcopale Italiana), ha preso posizione persino il Papa, ritenendo i Pacs un attentato all’istituzione della famiglia. Per i vescovi, si è letto sui giornali, i Pacs sarebbero soltanto un paravento per garantire diritti alle coppie omosessuali, dal momento che le coppie eterosessuali possono scegliere tra rimanere coppie di fatto senza diritti, oppure sposarsi.

Il problema è stato affrontato da una sola angolatura, dal momento che non tutte le coppie eterosessuali sono coppie di fatto per libera scelta. Taluni pur desiderando sposarsi non possono farlo. Pensiamo ai separati in attesa di divorzio, oppure al caso in cui il coniuge di un componente la coppia sia scomparso e non sia possibile dichiararne la morta presunta. La Chiesa a questo punto direbbe: Dovete rinunciare alla convivenza. Ma questa è un’altra storia.

Molto si è detto e si è scritto a proposito dell’argomento ma nessuno si è soffermato a riflettere che per la Chiesa è coppia di fatto anche quella regolare per lo Stato, formata da divorziati che sono convolati a nuove nozze. Basti pensare che un divorziato non può fare da padrino o da madrina ai battesimi, insegnare religione (fatto di cui recentemente si sono occupate le cronache) e nemmeno ricevere la comunione.

Ricordo un’intervista televisiva a Carmen Di Pietro, vedova di Sandro Paternostro. Il suo nuovo compagno, da cui ha avuto un figlio, la supplicava di sposarlo ma lei candidamente ha risposto che non si sposava per non perdere la cospicua pensione di reversibilità del marito defunto. Qualcuno, a tal punto, l’ha consigliata di sposarsi solo in chiesa. Aneddoto a parte, sono molti i vedovi e le vedove che pur di non perdere la pensione del coniuge defunto contraggono matrimonio ai soli fini religiosi ai fini di rimanere in pace con la coscienza e con il portafoglio. Chissà se i vescovi sarebbero stati altrettanto critici se la proposta dei Pacs avesse riguardato queste famiglie, regolari per la Chiesa ma coppie di fatto per lo Stato.


Dedicato a Yara

L’argomento dei Pacs mi ha fatto tornare alla mente la storia di Yara, una brasiliana simpaticissima, che avrebbe avuto ben altre sorti se anche in Italia fossero stati garantiti diritti alle coppie di fatto.

Yara è la classica persona che non passa inosservata: caratteristiche somatiche marcate, tipiche dell’america latina, vestiti modesti ma molto eccentrici, comunicativa straordinaria.. L’avevo incontrato casualmente a una riunione a Milano mentre si stava lamentando che gli avvocati la volevano buttare fuori casa. Di primo acchito avevo pensato che fosse un’extracomunitaria povera che non poteva pagare l’affitto e stava per essere sfrattata. Ero lì, lì per consigliarla di fare domanda alle case popolari ma, fortunatamente, ebbi il buon gusto di tacere.

Tempo dopo la incontrai durante un viaggio a Roma in pullman. Aveva preparato cibi sfiziosi, torte e caffè per tutti. Durante il viaggio un passeggero mi raccontò la sua storia.

Yara conviveva da oltre 20 anni con un plurimiliardario. Il proprietario della Snia Viscosa. Questi aveva cattivi rapporti con i figli con i quali aveva tagliato i ponti da anni. Non conosco i motivi per cui non si siano sposati (forse la moglie dell’industriale non gli concedeva il divorzio). Yara ha vissuto anni da favola. Disponeva di un guardaroba e di gioielli da fare invidia a una regina, era invitata alle feste mondane, frequentava il jet set internazionale, riempiva le pagine dei rotocalchi.

Improvvisamente il suo convivente all’età di poco più di quarant'anni morì, senza lasciare testamento. Yara aveva sottovalutato il fatto di non essersi sposata. Ingenuamente pensava che valessero anche in Italia le leggi vigenti al suo paese d’origine per cui il convivente, dopo un certo numero di anni aveva pari diritti dei familiari. Il patrimonio dell’industriale composto di fabbriche, ville, quadri pregiati, gioielli, depositi bancari, azioni, era stato stimato, si vocifera, in diverse migliaia di miliardi. Yara, consigliata dai suoi avvocati di fiducia iniziò una durissima battaglia legale per ottenere almeno una parte del patrimonio. La battaglia era persa in partenza ma Yara si fidava di quello che le avevano fatto credere. I figli del suo convivente pur di toglierla di mezzo le offrirono quattro miliardi, ma lei rifiutò pronunciando l’infelice frase che non erano nemmeno sufficienti per mantenere i cani. La casa di cui parlava quando l’ho conosciuta era una enorme villa bunker con piscina e campi da tennis (altro che extracomunitaria morosa!!).

La rividi un’altra volta a Roma. Mi disse che era appena giunta in volo dal Brasile dove si era recata ad acquistare un appartamento. Poco tempo dopo su tutti i giornali apparve in prima pagina a caratteri cubitali la notizia che Yara era stata arrestata.

Le cose, stando ai giornali, sono andate più o meno così. QuandoYara finalmente si era resa conto che in Italia il convivente del defunto non può campare alcun diritto sul suo patrimonio, decise di ritornare in Brasile. Voleva portarsi appresso qualche “ricordo” della sua casa. Cosa sarà mai qualche quadro d’autore e qualche mobile antico - deve aver pensato. In fondo i figli del mio compagno non hanno mai visto la casa e non sanno nemmeno quali oggetti contiene.

Caricò un camioncino con quelli che erano gli oggetti più cari (nel vero senso della parola) e di notte cercò di passare la frontiera. Ma i figli la facevano sorvegliare a vista. Il camioncino “sospetto” venne fermato alla dogana. Le “suppellettili” vennero consegnate ai familiari dell’industriale. Per Yara si aprirono le porte del carcere. Da quel momento non ne seppi più nulla.

Avrei tanto voluto che la favola di Yara terminasse con la frase: E visse felice e contenta. Ma questa, anche se iniziata come una favola, è una storia vera. Il finale potrebbe così essere cambiato: E Yara avrebbe potuto vivere felice e contenta… se anche in Italia ci fossero stati i PACS.

(da 'l Gazetin, OTTOBRE 2005)

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