IRAQ. è ormai scaduto Il tempo per Saddam Hussein
Già si contano le prime vittime: Onu, Unione europea, Nato…
Determinanti, per il suo destino e per quello del suo Paese, le decisioni che prenderà il raìs nelle sue “ultime ore di ufficio”
di Fabio Lombardini
Siamo ormai entrati nell’ultima fase di una guerra che dura da quattordici anni contro l’Iraq. Con un intervento “lampo”, gli Stati Uniti e i suoi alleati disarmeranno lo stato “canaglia” privandolo del suo arsenale di armi di distruzione di massa. Questa battaglia, ancor prima di iniziare, ha fatto sentire le sue ripercussioni in altre parti del mondo: Francia e Germania hanno incrinato i loro rapporti con gli Stati Uniti, la Russia li ha raffreddati, la Corea del Nord ha dichiarato il suo progetto di riarmo nucleare, la Nato, come l’Unione Europea e l’Onu, sta vivendo la sua crisi più grave, l’Iran ha dichiarato di voler riprendere i progetti (proibiti dai trattati internazionali) per la produzione di plutonio e, infine, l’Arabia Saudita ha fatto sapere che, dopo la guerra con l’Iraq, inviterà le truppe americane a sloggiare dal suo territorio.
Tutto questo mentre 200mila unità varcano i confini dalla Siria, Turchia e Arabia per entrare in territorio di una nazione stremata. Condoleeza Rice, consigliere di sicurezza del presidente statunitense ha confermato che gli Stati Uniti, assumeranno provvisoriamente l’amministrazione irachena. Le statistiche parlano chiaro: duecento mila soldati americani in Iraq e una richiesta da parte del Segretario della difesa Rumsfeld della somma ingente di US$500 miliardi per innovare il suo dipartimento.
Ma questo è niente, se si pensa che questa guerra causerà un deficit di US$1.000 miliardi all’economia mondiale (21 feb. - Reuters). Questo è quanto ha affermato un gruppo di ricercatori della Reserve Bank of Australia, aggiungendo che una guerra lunga potrebbe costare il triplo. Infatti, solo nel 2003, gli effetti del rincaro del greggio insieme alle incertezze economiche potrebbero causare un taglio di US$173 miliardi all’economia internazionale. «Nonostante ciò», hanno concluso, «la guerra avrebbe un impatto notevole - sull’economia mondiale - a lungo termine, ma di certo non porterà ad una recessione».
Mentre si aspetta dagli Stati Uniti una capacità di affrontare i costi di guerra, il Regno Unito, insieme all’Italia e alla Spagna dovrebbero incrementare il loro budget spending. Il Giappone, invece, è indicato come fondamentale per la fase della ricostruzione, del resto come l’Italia: per quest’ultima si prevedono entrate di decine di milioni di euro.
Anche i prezzi del greggio sono previsti nel loro incremento del 90 per cento sopra la media di $25 al barile. Già in questi giorni si possono sentire gli effetti dei prezzi del petrolio che sfiorano i $36. Nonostante ciò, i prezzi dovrebbero cadere al di sotto dei $25, una volta terminata la guerra.
Al di là di tante statistiche e figure economiche, questa guerra sta già avendo i suoi effetti in tanti altri ambiti della vita mondiale. L’Onu, oggi, sembra essere debole quanto la Lega delle nazioni lo era sessant’anni fa, anche se Kofi Annan sta cercando invano di sensibilizzare i paesi membri per una soluzione meno drastica. A questo proposito il Vaticano sta collaborando con l’Onu, per cercare una soluzione alternativa. Tuttavia, le risoluzioni passate al Palazzo di vetro, come quelle passate alla Nato, sono poco concrete, in quanto, fino ad oggi, queste due istituzioni internazionali hanno promesso la guerra come ultima soluzione, ma non si sono impegnate abbastanza per garantire tali risoluzioni, attraverso una ricerca più approfondita di una soluzione.
L’Italia è preoccupata per i suoi interessi su tutti i fronti: se l’Italia decidesse a favore della guerra, si troverebbe di fronte ad un Medio Oriente ostile. Se tentasse di prendere la linea di Chirac, i suoi patti commerciali con l’America finirebbero nella proverbiale spazzatura proprio come rischia la Germania.
Dunque com’è la situazione italiana? Al di là di tante opinioni in merito, il Belpaese non può che osservare i patti firmati decenni fa con gli Stati Uniti e quindi di concedere lo spazio aereo all’aeronautica Usa. A non farlo provocherebbe una ferita insanabile nei rapporti con l’America. Il governo italiano dice di sì al disarmo in Iraq, ma insiste ad aspettare una risoluzione decisiva dell’Onu.
Se, come è stato più volte evidenziato (ricordiamo la lettera di risposta di Walter Veltroni a Tareq Aziz), Roma acquisirà il ruolo di mediatrice per la serie di trattati che seguiranno, allora il ruolo migliore per l’Italia sarà quello di lavorare insieme alla Santa Sede e all’Onu per trovare una soluzione diplomatica.
Il tempo per Saddam Hussein è ormai scaduto. Il suo destino e il destino del suo paese restano in mano alle decisioni determinanti che prenderà nelle sue ultime ore di ufficio. Se continuasse a collaborare con l’Onu e con l’Aeia per l’effettivo disarmo e se decidesse di accettare l’eventuale esilio, Saddam risparmierebbe al suo popolo un ulteriore carestia. Ma il raìs si dimostrerà veramente così altruista?
(da 'l Gazetin, MARZO 2003)
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