LOMBARDIA. A PROPOSITO DELLA NUOVA LEGGE SUL GOVERNO DEL TERRITORIO

Intolleranza religiosa e privilegi alla Chiesa

Non è una novità di questa legislatura regionale la prassi di legiferare con leggerezza

di Federico Fischer*

«In Lombardia culti di serie A e serie B». Questa dura affermazione non giunge dai “soliti” Radicali anticlericali, ma la si poteva leggere nel numero di gennaio della rivista delle Chiese evangeliche Riforma, in un articolo a proposito della modifica della legge sugli edifici di culto che il Consiglio regionale della Lombardia si accingeva a varare. All’indomani del voto consiliare, sul quotidiano La Repubblica era il portavoce della comunità ebraica di Milano, Yasha Reibman, a rincarare la dose: «In Italia non ci sono religioni di serie A e di serie B. In Lombardia le stanno creando, con i Comuni che stileranno la classifica. Probabilmente, di fatto non verremo discriminati, ma temo per gli altri».

Come ultimo atto rilevante di questa VII legislatura, infatti, il Consiglio regionale ha approvato, lo scorso 16 febbraio, la legge sul governo del territorio. Non entrerò nel merito della normativa, lasciando agli esperti e a ciascuno dei lettori valutare l’efficacia o meno degli strumenti adottati. Mi limiterò a focalizzare l’attenzione su un aspetto, che qualcuno potrebbe definire marginale ed insignificante, ma che pone, appunto, seri dubbi di legittimità costituzionale e di rispetto effettivo dei principi di eguaglianza e di libertà religiosa sanciti dalla nostra carta costituzionale. Il testo licenziato dall’aula, riscrivendo anche la legge regionale sul finanziamento degli edifici di culto, ha limitato, di fatto, l’accesso a tali fondi alla sola Chiesa cattolica, e ciò in aperto contrasto con la consolidata giurisprudenza dell’Alta corte in materia di libertà religiosa e pari dignità di tutte le confessioni.

In un certo senso, questa legge realizza la “quadratura del cerchio” fra due opposte esigenze presenti in settori della società lombarda e rappresentate da alcune forze politiche: da un lato si sono voluti accontentare coloro che cavalcano l’ondata dell’intolleranza religiosa; dall’altro si è dato credito a quei gruppi di potere, presenti anche all’interno dell’“istituzione Chiesa”, che premono per ottenere sempre più privilegi e regalie.

La legge prevede, per l’accesso ai finanziamenti da parte delle confessioni diverse dalla cattolica, condizioni a dir poco vessatorie. Mentre per la Chiesa i requisiti e i finanziamenti sono certi “per legge”, le altre confessioni devono provare di volta in volta una «presenza diffusa, organizzata e stabile» nell’ambito del comune e devono avere statuti che «esprimano il carattere religioso delle loro finalità istituzionali». Solo in questo caso possono stipulare una «apposita convenzione» con il Comune, che consente loro, non già di accedere ai finanziamenti, ma solo di poterli richiedere. Sì, perché saranno poi le amministrazioni a stabilire, in base ai parametri aleatori e discrezionali della consistenza e “incidenza sociale”, se e in che misura tali fondi verranno erogati. È evidente che l’applicazione disinvolta di questi generici requisiti potrebbe, paradossalmente, portare all’esclusione anche delle chiese evangeliche e delle sinagoghe, ma è fuori di dubbio che il vero obiettivo di queste impraticabili condizioni sono le moschee.

Molti Comuni – ricordate il caso di Lodi? – pongono infiniti ostacoli alla realizzazione di luoghi di culto islamici. La legge regionale ratificherebbe questa situazione; infatti, non prevedendo che la «convenzione» da stipularsi tra Comune e confessioni acattoliche sia un «atto dovuto» dell'amministrazione, qualche sindaco potrebbe non firmarla mai, oppure metterci anni, nonostante la sussistenza dei requisiti previsti. Di fatto l'astratta, ma nei fatti impraticabile, estensione del diritto di accesso ai contributi alle altre confessioni religiose è quindi puro fumo negli occhi.

Sotto un altro aspetto la normativa regionale stabilisce la possibilità di cumulare questi finanziamenti con quelli provenienti da altre leggi statali e regionali e la facilità di cambio dell’originaria destinazione d’uso delle opere religiose realizzate, a meno che non siano per intero finanziate da questa legge (cosa difficilmente realizzabile). Questa legge non può che far gridare allo scandalo tutti coloro che considerano la liberà religiosa come un bene da difendere a beneficio di tutti e non soltanto nella speranza di trarne rendite di posizione

A dir poco sconcertanti le affermazioni del relatore Giovanni Bordoni (Fi) che, pur definendo i criteri soltanto “perfettibili”, li ritiene tuttavia forieri di accesi dibattiti quando i Comuni saranno tenuti a emanare i regolamenti attuativi. Ma tant’è! Ormai è invalsa la prassi di legiferare con leggerezza, “tanto magari poi le cose si aggiustano…” Non è una novità di questa legislatura regionale e, c’è da scommetterci, le cose non cambieranno nella prossima. Troppe leggi, infatti, necessitano di continui e ulteriori “aggiustamenti tecnici” successivi alla loro promulgazione. Dovranno poi i cittadini, per far valere i loro diritti, eventualmente rivolgersi al TAR, alla magistratura e, in ultima istanza, arrivare alla Corte costituzionale… ovviamente a loro spese!

Un po’ triste per una Regione che, giustamente, aspira ad essere uno dei “motori” dell’Europa del terzo millennio.

  

[DIDASCALIA DELLE ILLUSTRAZIONI (che vengono omesse nella versione on line)]:

- Federico Fischer

- Un manifesto della campagna elettorale in corso (inserzione in Centro valle, 19/02/2005)

 


* Dell’Associazione radicale “Enzo Tortora” di Milano.

(da 'l Gazetin, MARZO 2005)


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