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Il Concordato, segno di statalismo corporativo


Torna alla ribalta la questione del Concordato tra Stato italiano e Chiesa Cattolica. La voce di coloro che lo vogliono abolire è tornata a farsi sentire forte.

Non ho alcuna simpatia per il Concordato, cioè per quell’accordo che concede alla Chiesa Cattolica lo status non di religione di Stato, ma di confessione religiosa “più favorita”. Il Concordato italiano è frutto della storia di questo paese e della “questione romana” apertasi con la breccia di Porta Pia. Ma oggi ciò che stupisce è che non sia la Chiesa stessa a chiedere di superare quell’accordo: segno che i privilegi che in quell’occasione furono concessi e successivamente confermati con la revisione firmata da Craxi e Casaroli sono una tentazione troppo forte perfino per il Vaticano.

Ma una cosa però deve essere chiara: il Concordato non è tanto il segno di clericalismo, quanto di statalismo corporativo: accanto al fenomeno eclatante del Concordato, bisogna ricordare che in Italia tutti i fenomeni di rilevanza sociale (dai sindacati, ai partiti giù fino alle ONLUS) hanno una regolamentazione pubblicistica con tanto di leggi ad hoc: in cambio di alcuni vantaggi, di natura fiscale prevalentemente, tutto si “statalizza”.

Non mi dà nessun fastidio che la Chiesa intervenga, come altre “agenzie del consenso”, nella discussione politica italiana e ritengo che il problema, quando c’è, stia tutto nella debolezza della politica. Chissà, magari si potrà arrivare ad una situazione “americana”, dove le Chiese influiscono sì sulla politica, ma non hanno alcun legame concordatario con lo Stato, sono libere associazioni frutto di una libera società.

(da 'l Gazetin, NOVEMBRE 2005)


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