Argomenti di BENEDETTO DELLA VEDOVA

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Libertà religiosa. Il caso francese

Il Presidente francese Jacques Chirac ha preannunciato una nuova legge che vieterà nelle scuole pubbliche francesi la “ostentazione” dei simboli religiosi. L'obiettivo vero del provvedimento è il velo delle musulmane che vivono in Francia. La questione dello chador agita la società e la politica francese da anni, ormai: la comunità islamica transalpina è la più numerosa d'Europa e l'emergere del fanatismo islamico e del terrorismo fondamentalista come protagonisti della scena geopolitica internazionale ha acuito le sensibilità e inasprito le reazioni. La Francia è da sempre orgogliosa della laicità delle sue istituzioni, lascito importante della rivoluzione, ma la scelta di varare una legge sulla “ostentazione” dei simboli religiosi, compresi crocefissi di dimensioni rilevanti (!) e le kippah ebraiche assume un significato assai diverso. Se si pensa che il velo islamico rappresenti una violazione della libertà di milioni di donne francesi, incompatibile con i principi fondamentali della convivenza civile in terra francese, si abbia il coraggio di vietarlo. Non in quanto simbolo religioso, però, ma in quanto strumento di violenza. Sarebbe una scelta discutibile, ma comprensibile. La scelta di accomunare in un unico destino tutti i simboli religiosi “ostentati” nelle scuole pubbliche e di vietarli, dovuta probabilmente al desiderio di non irritare la comunità islamica, segue un cammino diverso e pericoloso, quello della limitazione della libertà religiosa. Se così fosse, però, la laicità dello Stato finirebbe di essere la garanzia per tutti di professare in piena libertà le proprie idee, anche religiose, e diventerebbe una sorta di nuova religione di Stato. È vero che in questo caso ci si limiterebbe all'ambito della scuola pubblica, ma ciò non toglie che la misura – anzi, forse proprio perché riguarda la scuola – avrebbe un sapore illiberale e un odore di totalitarismo che poco si addice alla Francia, nonostante tutto.

 Alcune buone abitudini inglesi

Tony Blair ce l’ha fatta, ha superato i due giorni più difficili della sua carriera: ha ottenuto la maggioranza del Parlamento (seppur risicata) sul suo progetto di riforma dell’accesso all’Università e ha ricevuto, dopo un’indagine svolta da un giudice indipendente, le scuse dalla BBC, che lo aveva accusato di manipolazione dei dossier sull’Iraq.
Una considerazione di carattere generale: la democrazia del Regno Unito continua a dare ottima prova di sé. Il premier ha un grande potere, ma solo fino a quando ha la fiducia del parlamento, dove i deputati votano in modo indipendente, in nome del “loro” territorio, anche contro la maggioranza del proprio partito. Nessuno si scandalizza e, una volta votato, le polemiche si stemperano.
Secondo punto, la riforma universitaria. Blair ha rischiato di cadere su di una riforma precisa: alzare le tasse universitarie, ma consentire agli studenti di pagarle solo dopo che avranno ottenuto un lavoro che glielo consenta. Più soldi alle università, più concorrenza tra di esse, più possibilità di accesso per i meno abbienti. Una riforma su cui riflettere anche in Italia.
Infine la BBC (che, come diceva Renzo Arbore, ...non è la Rai): dopo il giudizio negativo del giudice Lord Hatton, che ha dato torto ai giornalisti della storica emittente di sua maestà e ragione al premier, il presidente non ha scatenato polemiche, ma si è dimesso. Seguito dal direttore generale. Altra abitudine che sarebbe bene imitare.

b.dellavedova@agora.it

(da 'l Gazetin, FEBBRAIO 2004)


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