Otip-So. Lettere a un giovane poeta

Autore è colui che si sceglie

 lettera su Giacomo Bottà

 

Ongebrom, 1° marzo 2004

 Egregio Dome Bulfaro,

la ringrazio vivamente per ogni suo prezioso consiglio elargitomi, tuttavia, perdoni la schiettezza con cui le parlo, ma non le nascondo che, a volte, le sue lettere mi sembrano “lettere scritte allo specchio”, quasi che le frasi a me destinate siano in realtà quelle che avrebbe voluto, a tempo debito, sentirsi destinare. Quasi rimproverasse a lei e al mondo intero di non averle offerto un maestro, una guida, che le avesse evitato, a suo giudizio, le molte ingenuità commesse.

A tal proposito da Tutta la forza della poesia, il libro che nelle due precedenti lettere mi ha sollecitato ad acquistare, mi sovvengono quei tre racconti del giovane narratore Giacomo Bottà che il poeta Franco Buffoni, uomo noto per la sua onestà intellettuale, giustamente definisce – ben provvisti di un autonoma “poetica”. e poi prosegue - Come rintracciare subito nella sua scrittura tale qualificante elemento? Considerando la capacità dell’autore di presentare fuse “norme operative” e “sistemi tecnici” da un lato, e le moralità e gli ideali dall’altro… quella …assoluta tendenza al grado zero della scrittura… presente in ogni testo di Bottà, continua Franco Buffoni – …non produce algido rifiuto nel lettore… perché il lettore ci sente anche indignazione e senso della storia, appunto: moralità e ideali.

Sono convinto che chi ha un profondo senso della Storia trovi in essa un eccellente maestro. Le confesso che anch’io per anni, disperatamente, ho cercato il mio maestro. Per anni ho interrogato gli occhi delle persone chiedendo – Sei tu? Sei forse tu? – finché un giorno trovai quel che cercavo, riflesso nelle pupille di un mio allievo, e poi in quelle di un altro, e un altro ancora: mi vedevo nel fondo di ognuno; finalmente riconoscevo in me e nell’altro da me il maestro. Finalmente mi ero scelto. Quella è stata la prima volta in cui io mi sono veramente sentito l’altro, e il mio ego si è frantumato in mille pezzi… Che poi l’ego si prenda ancora le sue belle rivincite è un’altra storia.

Tornando a noi, credo che Giacomo Bottà sia definibile “autore” perché si è scelto, e lo ha fatto con tutta la consapevolezza necessaria di essere, come tutti, unico ed irripetibile.

Si percepisce che ha masticato e digerito tanta letteratura contemporanea e del passato. Ha ben presente quanto sia pericoloso spezzare il filo rosso che cuce il passato alla contemporaneità. I protocolli sul “mittwoch bar” e su “nicolaij che viene dal kazakistan” quanto “il bambino-finlandese” del racconto come dopo la sauna costituiscono dei veri e propri piani-sequenza (con pochi tagli) che uniscono “minuscole” storie di uomini di oggi a uomini altrettanto “minuscoli” di ieri, restituendo alla Storia dell’umanità un ruolo “maiuscolo”.

Il risultato è credibile perché il punto di partenza non è astratto, generale, ma è personale; è il presente di situazioni vissute in prima persona, documentate testimonianze, che attribuiscono a questi testi letterari un surplus di valore storico. Ma tutto questo è sufficiente per affermare che Giacomo Bottà si è scelto? No. Vanno aggiunte alcune considerazioni: questi documenti letterari hanno il merito di essere figli del proprio tempo e non di altri. Lo si nota da una certa inclinazione alla caricatura, alla demenzialità, alla parodia spinta fino al cinico paradosso, una tendenza a ipertestualizzare e all’utilizzo di più registri narrativi (con particolare attenzione al rapporto fra fiction e realtà, scrittura e web), una naturale attitudine a dissacrare, a contaminare le “lingue pure” con tinte gergali, un certo melting-pot culturale. Quel suo rigoroso, minimale, tendere al grado zero – come evidenzia Franco Buffoni – mi restituiscono un autore senza dubbio colto capace di spaziare dal cinema di Dogma alla letteratura anglo-tedesca, dalla musica rock alla comicità dei Simpson.

Detto in poche parole, i documenti letterari di Bottà, pur facendo ridere, non irridono le piccole grandi tragedie che dentro si celano, anzi, le tutelano da certo moralismo che provoca nel lettore il rigetto di eventi dolorosi della propria Storia.

La sua logica registra e scopre in presa diretta, quasi scrivesse con una steady-cam, le reiterate contraddizioni che puntellano il nostro precario quotidiano vivere.

Dicono che in Finlandia si parli poco, e quindi si abbia più tempo per ascoltare, osservare, tirare le somme. Magari semplicemente schiacciando il bottone del sunto automatico, come ha fatto Giacomo Bottà (con qualche calibrato ritocco) nel suo bambino-finlandese, così che le immagini di una giornata o di una vita ti scorrano davanti in un baleno e si possa scoprire come non sia così difficile finire… un racconto, una vita o una semplice risposta epistolare.

Come ha potuto leggere, egregio Dome Bulfaro, mi riesce per ora difficile rivolgermi a lei dandole del “tu”. Per quanto io mi riconosca e rifletta in lei, come in qualsiasi altro da me, la sua figura non mi risulta ancora così familiare. Come mi ha consigliato nella scorsa lettera chiedo pazienza; il tempo che serve.

Circa l’inizio di questa, sono certo che non me ne vorrà. Nel caso l’abbia ferita o offesa lei sa bene quanto non fosse mia intenzione.

Come fossero “lettere scritte allo specchio”,

un giovane poeta

 

protocollo n. 1

 

il mittwoch bar (bar del mercoledì) si trova in uno scantinato, nel secondo cortile di uno stabile di prenzlauer berg, a berlinoest, ex capitale della repubblica democratica tedesca. sulla facciata ci sono ancora i buchi lasciati dalle pallottole di una guerra combattuta quasi sessant’anni fa.

qui sotto, quando c’era il muro, scendevano i dissidenti a leggere manoscritti o a sentire rock occidentale su giradischi malandati. l’arredamento (poltrone sgualcite, tavolini da modernariato) non pare comunque essere cambiato molto da allora.

oggi è soltanto un bar senza licenza dove ci si ritrova a bere una birra. sono simpatici i bar della settimana (ce n’è uno per ogni giorno), sembra di essere a casa di un amico, per quel misto di calore domestico e precarietà che molti luoghi di berlino continuano ostinatamente ad avere.

il mittwoch bar è comunque il mio preferito. forse perché è aperto di mercoledì, il giorno in cui ci si è ripresi dal finesettimana precedente e non si pensa ancora al prossimo, il giorno in cui gli inglesi, per questo motivo, vanno a votare.

ho passato tutto il giorno alla staatsbibliothek a riflettere sul rapporto tra città e romanzo nella berlino contemporanea, poi sono uscito e sono andato a spasso per la berlino contemporanea, con la sensazione di essere finito in un romanzo.

insomma m’immagino di essere nel 1971 e di passeggiare per la kastanienallee con aria da holden caulfield oltrecortina. m’immagino la coda davanti al negozio di dischi dove finalmente anch’io avrò la mia copia di exil on maine street (stampa sovietica).

a berlino succede di proiettarsi in qualche altro spazio/tempo. facilmente dopo aver bevuto una birra a stomaco vuoto. troppo facilmente dopo aver bevuto una birra a stomaco vuoto al mittwoch bar.

Giacomo Bottà

– da: D. Bulfaro e L. Picchi (a cura di), Tutta la forza della poesia, LaboS 2003, € 10,50 –

[DIDASCALIA DELL'ILLUSTRAZIONE (che viene omessa nella versione on line)]:

Giacomo Bottà

(da Bottega letteraria, N. 14
ne 'l Gazetin,
MARZO 2004)

  come è andata la seconda edizione