Otip-So. Lettere a un giovane poeta
L’incanto dismesso
lettera su Francesco Osti
Morbegno, 19 novembre 2003
Mio caro giovane poeta,
ti scrivo in risposta alla richiesta di indicarti autori della tua generazione, attualmente operanti nella provincia di Sondrio, che si approssimino alla scrittura con la tua medesima veritiera necessità.
Sono diversi i giovani autori di cui mi piacerebbe parlarti, tuttavia, in questa prima lettera vorrei segnalarti le prose poetiche di Francesco Osti (classe 1976 di Morbegno) per due motivi: in primo luogo come tributo personale, perché lo spunto di fare critica letteraria in forma epistolare l'ho tratto dalla sua serie “Corrispondenza dalle ribalte”, testi in cui ipotetici mittenti e destinatari dischiudono originali squarci dell’immaginario; in secondo luogo perché si è appena tenuta una sua lettura, la sera del 16 novembre, presso la Vineria San Giovanni di Morbegno. A pensarci per tempo, poteva essere la cornice ideale per presentarvi… Vedrò di essere più tempestivo per il futuro.
Mi chiedi se la sua necessità di scrivere è davvero autentica; se nell’ora più silenziosa della sua notte si domanda: debbo scrivere? Se questo suo affermativo debbo sia tanto forte e semplice da estendere le radici nel più profondo luogo del suo cuore. Sì, non potrebbe essere altrimenti. La sua scrittura è presa d’atto, autocoscienza, è come dici tu: –segno e testimonio di quest’impulso–. La parola poetica è per lui l’unica lama capace di frantumare le aride zolle che contornano ogni esistenza di questo mondo. Il suo inchiostro non ha ancora piena consistenza nella poetica ma ha in sé la purezza dell’acqua sorgiva ed una cifra stilistica già distinguibile.
La produzione seriale suddivisa per categorie – Cartoline, Dismissioni, Tempo proprio, Figure, Corrispondenza dalle ribalte, Cortile interno – proviene da lontano. Francesco da piccolo collezionava pile, tappi, lego, sogni trascritti sul proprio diario; oggi colleziona appunti di vita, per l’identica necessità di allora: non dimenticare. Ti chiederai dimenticare chi? Cosa? Paesaggi, luoghi, situazioni, industrie; scrittori troppo in fretta archiviati come Bianciardi, Flaiano, Walser; usi letterari, come la prosa poetica e il carteggio epistolare, oggi traslocati in soffitta; esseri umani che resterebbero anonimi per la Storia; in sostanza Francesco scrive per ricordare tutto ciò che l’uomo dismette di se stesso con spudorata incuria, con frettolosa gelida sufficienza.
La Memoria, implorata da Primo Levi, si fa letteratura quando attinge direttamente dalle vene. Ricordare in forma di cronaca non basta: è necessario offrire una testimonianza di ciò che di grave accade con una rilevanza di dettagli, indizi quanto più ricca possibile, a cui affiancare però, uno sguardo originario che sappia rivelare sempre nuovi risvolti, chiavi di lettura, approfondimenti. Ecco perché ti invito a leggere le prose poetiche di Francesco Osti: perché sono viscerali come quelle di Dino Campana ma analitiche nella descrizione come quelle di Francis Ponge o del suo amatissimo Joseph Roth.
Per un giovane autore è fondamentale saper passare al setaccio la realtà, saperla scannerizzare, fotografare mettendo a fuoco ogni elemento con un obiettivo iperrealista. Ma la misura letteraria non si coglie solo dalla capacità di restituire in modo assolutamente analitico un ritaglio di mondo: la creazione poetica non è come la produzione industriale che si preoccupa solo che il prodotto sia tecnicamente ineccepibile; la letteratura di Francesco, attraverso una parola precisa e intensa, crea slarghi smagliature in cui l’uomo precipita irretito. Nel filo narrativo di Francesco la tensione corre alta soprattutto quando tiene a nudo il gap tra la volontà di incantare l’istante amato e l’incuria con cui viene dismesso. Da qui nasce quella sua virata di pessimismo, di malinconia nei confronti del tempo che fu e d’indignazione nei confronti dell’uomo.
Quel mondo mitologico delle grandi industrie che nel dopoguerra hanno radicalmente trasformato il paesaggio e le genti della Valtellina, quel mondo in cui il piccolo Francesco sgranava gli occhi all’udire il rombo notturno degli autotreni sulla statale, che tagliava in due la valle; quel mondo industriale che la rivoluzione tecnologica ha ridotto ad archeologia, da lui tanto esplorato durante gli anni dell’adolescenza, abusivamente, di frodo – come in un cimitero di notte –, oggi scompare trascinandosi con se vite, famiglie intere senza che nessuno se ne prenda più cura.
Non è il tempo a triturare l’incanto; e non è l’Essere che “getta l’uomo nel mondo”, come vuole Heidegger; è invece l’uomo che dismette i suoi simili senza comprendere che “getta se stesso dal mondo”.
Ma non fraintendere, le prose di cui ti ho parlato non sono tanto da interpretare come attaccamento al passato, quanto piuttosto quale legittima richiesta all’uomo di mostrare un maggiore tatto, maggiore senso dell’umano, rispetto nel dismettersi. È una questione di delicatezza affrancarsi o meno da questo mondo. Si può morire – sembra dirci Francesco – ma senza perdere la dignità, senza sottrarre al mondo l’anima.
Un esergo di Guimaraes Rosa scelto da Vivian Lamarque per un sezione del suo ultimo libro dice: le persone non muoiono, restano incantate. Credo sarebbe sottoscritto anche da Francesco Osti.
Bene, mio caro giovane poeta, spero di aver soddisfatto la tua salutare necessità di confronto. Poiché il 16 di novembre non sei potuto venire ad ascoltare dal vivo le prose poetiche di Francesco Osti, aspetto – scritte di pugno – tue nuove notizie.
Un abbraccio
Dome Bulfaro
P.S. – Troverai suoi testi nell’antologia Tutta la forza della poesia di cui è prevista l’uscita a dicembre per le edizioni LaboS. In anteprima, ti allego una sua prosa poetica tratta dalla serie “Dismissioni”, già pubblicata nella “Scuola di poesia” di Maurizio Cucchi (Specchio del quotidiano La Stampa, 24/05/2003).
NERO DI SEMOLA Nero di semola nell’intorno: anfiteatro svanito, calato dalle carrucole nei sotterranei della notte… ripiegate le quotidiane spighe, luci rade di balconi e piumose onde di nenie sussurrate. Screpolature d’edera sul finire del paese ed un rotolare continuo di biglie, grigiastre: ecco il palco d’opera… volti, contratti e minimamente mossi, accanto alla macchina che continuamente fuma. Effluvi faticosi e scuri coprono aloni di sudore. Sul badile le vene di mani e braccia, avvinto vitigno catramoso: asfaltano! Gialli i compressori, avanti e indietro, rulli storditi… e il bitume pressato è il nuovo abito a lutto… strada morta… veglia di insonni. Morbegno, 13/11/2002 Francesco Osti |
[DIDASCALIA DELLE ILLUSTRAZIONI (che vengono omesse nella versione on line)]: Francesco Osti
(da Bottega letteraria,
N. 12
ne 'l Gazetin,
NOV.-DIC.
2003)